DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Mario Ajello per il Messaggero - Estratti
Oggi i voti stanno lì. Al centro. Quello che Tajani-Battiato chiama il «centro di gravità permanente». Perfino la Lega che stringe al Sud il patto con l'Udc di Cesa e con i democriatian-sicilianisti di Raffaele Lombardo, e che ha in Fedriga e in Zaia due esemplari di centrismo nordista, cerca - nonostante Salvini voglia molto coprirsi a destra - di coltivare quello spazio di mezzo assai sottovalutato finora.
E che invece, al tempo della radicalizzazione di tutto favorita anche dall'uso distorto dei social, sta trovando un senso che elettoralmente non sfugge a nessuno. Il centro come luogo del non-grido e della pacatezza, della responsabilità e della concretezza, di una moderazione che è modernità e non ritorno indietro con lacrima da nostalgici scudocrociati.
I sondaggisti dicono che vale oltre il 20 per cento questo centro, e fa tanta gola intercettare e rappresentare la crescente richiesta da parte dei cittadini - lo dimostrano i risultati abruzzesi di Forza Italia al 14 ma anche di Noi Moderati passati dallo 0,7 al 2,8 per cento e di Azione con il 4 - di una politica che non ubbidisce all'ideologia e all'aggressività e diventa perciò fattore di innovazione.
Si pensa abitualmente al centro (a proposito, ne è un gran cultore l'eterno democristiano Rotondi, per non dire di Tabacci e Mastella) come a un luogo stantio, e invece sta diventando un luogo vivace e dinamico. Si sono spostati al centro, e non solo verso Meloni che proverà a far sua la virtù dello stare al centro anche per piazzarsi al centro del prossimo potere in Europa, molti elettori leghisti, stando a quel che dicono gli esperti di flussi elettorali. E uno di loro, Fabrizio Masia, l'ad di Emg Different, osserva: «Esiste uno spazio elettorale che guarda ai valori liberali, del popolarismo europeo, che poi sono quelli lasciati in eredità da Berlusconi e che evidentemente sono considerati ancora importanti».
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È dimostrato dai numeri che questo spazio ha come principale referente Tajani, e non solo per un'onda lunga del ricordo di Berlusconi ma per un bisogno che non guarda al passato. Se non fosse così, un politico acuto come Matteo Renzi - fresco autore del libro «Palla al centro» - non proverebbe a dragare questo terreno. In cui la vera palla ce l'ha il Ppe, e la nuova polemica renziana contro Tajani e contro von der Leyen è proprio un modo per inserirsi nel centro e sottrarne la massima porzione possibile dall'ambito del popolarismo portandolo in uno schema terzo polo e non centrodestra o centrosinistra.
Operazione simile a quella del nemico Calenda («Mi sono rotto le balle del campo largo»). E che cosa dire dei riformisti Pd che attribuiscono la sconfitta in Abruzzo alla poca capacità del Nazareno a parlare agli elettori non di sinistra?
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