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DAGOREPORT - I REPUBBLICANI ANTI-TRUMP HANNO TROVATO IL LORO ALFIERE: JD VANCE - IL VICEPRESIDENTE…
Riccardo Arena per "La Stampa"
Mentre i pm fanno il bagno di folla, sfilando tra le «Agende rosse» nei giorni del ricordo di Paolo Borsellino, ucciso 21 anni fa a Palermo, il presidente del tribunale di Palermo critica i suoi giudici, che dal canto loro parleranno solo con le motivazioni, che verranno depositate tra almeno 90 giorni: solo allora spiegheranno perché siano stati assolti Mario Mori e Mauro Obinu.
Leonardo Guarnotta, che è il capo di tutti i giudici del tribunale, fu anche componente dello storico pool antimafia, con Borsellino e Giovanni Falcone: «Le sentenze si rispettano ma si possono criticare - dice a un dibattito - e la sentenza che ha assolto Mori dice che il fatto c'è stato ma non è stato commesso con dolo. Uno Stato come il nostro, che ha paura di conoscere la verità , è senza futuro».
Si accende dunque lo scontro, dopo la sentenza Mori. Il clima si era fatto caldo subito dopo la lettura del verdetto. A Mario Fontana, il presidente del collegio che ha assolto l'ex comandante del Ros e il colonnello Obinu, non è andato giù quel grido, «vergogna», pronunciato da una donna delle «Agende rosse». «Mi chiedo - dice il giudice - che conoscenze ha, del processo, chi grida vergogna. Ha letto tutte le carte? Fomentare questo clima di sfiducia e di "tifo" attorno alla giustizia è sbagliato. Noi siamo solo i giudici di primo grado. Potremmo avere sbagliato o avere visto giusto».
Il tifo, il sostegno della gente. Al sitin organizzato davanti al palazzo di giustizia, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi dice che la gente «ci dà la forza di proseguire con il nostro lavoro, malgrado le botte che ogni tanto prendiamo». E il pm dei processi Mori e trattativa, Nino Di Matteo: «Guai se la ricerca della verità si fermasse. Dobbiamo ancora scoprire tanto dei mandanti e dei moventi delle stragi».
«C'è un giudice a Palermo», ha detto Mori appena assolto, con una citazione brechtiana («Ci sarà un giudice a Berlino») tutt'altro che casuale, perché risale ai tempi in cui Bruno Contrada incassò la condanna in primo grado a 10 anni. Fontana scrisse la sentenza di appello del «processo del secolo» (scorso), quello contro Giulio Andreotti. Scontentando tutti, accusa e difesa («Anche se - dice ora - entrambe preferiscono vedere solo le parti che gradiscono»), scrisse che il sette volte presidente del Consiglio era stato colluso con Cosa nostra fino al 1980 e ne era divenuto nemico giurato dopo l'omicidio del presidente della Regione, Piersanti Mattarella. La Cassazione confermò.
Fontana scriverà ora anche la sentenza Mori. Dirà che la trattativa Statomafia non c'è stata? «Aspettate 90 giorni e saprete». Il presidente invita a rileggersi gli atti, a interpretare il dispositivo, la formula «il fatto non costituisce reato». Il colonnello Michele Riccio aveva parlato di una volontà deliberata di non prendere il superlatitante Bernardo Provenzano. Ma il teste era stato smentito dall'attuale procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone («Mai mi parlò di incontri avvenuti tra la sua fonte, il confidente Luigi Ilardo, e il boss»). Riccio era entrato in contraddizione anche con gli altri pm Gian Carlo Caselli e Teresa Principato. La difesa aveva poi parlato di difficoltà operative, di rischio di bruciare la fonte.
Massimo Ciancimino è invece la vera causa della frana della vicenda trattativa: tra ricordi a rate, documenti perlomeno dubbi da lui prodotti, esplosivo in casa e calunnie, non ha certo agevolato i pm. Ma la trattativa in sé potrebbe non essere stata demolita, negata, smontata del tutto: nel processo Mori in fondo era solo un aspetto, un'aggravante.
L'accusa ha però creato due processi che sono sostanziali doppioni l'uno dell'altro. E per questo ora il pool teme i contraccolpi nel nuovo dibattimento, in cui Mori è di nuovo imputato, a Palermo, per la terza volta.
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