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Maria Teresa Meli per "Il Corriere della Sera - Roma"
Roma è una città antica. Talmente antica da essere l'ultimo lembo di terra italiana dove il vento grillino non sembra ancora soffiare. I palazzi del potere - tutti - si adeguano al nuovo che avanza: chi si taglia lo stipendio, chi i collaboratori, chi preferirebbe tagliarsi le mani piuttosto di passare per un esponente della malfamata «casta». La politica nazionale arranca all'inseguimento del «Movimento 5 stelle»: in alcuni casi il cambiamento obbligato è foriero di novità costruttive, in altri è controproducente.
Nella città di Roma è arrivato forse un refolo di quel vento. Un refolo che non sembra turbare, tanto per dirne una, il Partito democratico capitolino. Qui le primarie, che altrove sono - o sono state - strumento di democrazia e innovazione, rappresentano semplicemente uno dei tanti modi in cui le correnti del Pd regolano i conti e poi li pareggiano con le immancabili trattative e i soliti compromessi al ribasso. Già , a Roma non cambia niente di niente. I partiti sono sempre più deboli e in difficoltà .
Di conseguenza, le loro correnti sono ormai esangui. Eppure nel Pd si danno battaglia, come se le elezioni politiche di febbraio, non ci siano mai state. Dalemiani di rito ortodosso o eterodosso sostengono David Sassoli. Probabilmente l'ex premier ripudierebbe sia gli uni che gli altri, ma a lui si rifanno i Democrat romani che sostengono Umberto Marroni e quelli che caldeggiano invece la candidatura di Alfio Marchini.
Tutti insieme, appassionatamente, sono pronti ad appoggiare l'ex mezzobusto ora eurodeputato David Sassoli. à chiaro, però, che nel Pd capitolino nessuno dà una mano gratis. Perciò Marroni tratta un posto per sé e i suoi cari in giunta, mentre Marchini ha ingaggiato un braccio di ferro per ottenere di stare in ticket con Sassoli. E per raggiungere il suo scopo ha alzato la posta lasciando intendere che deve essere l'eurodeputato a fargli da numero due e non viceversa.
Poi c'è l'altra corrente del Pd, quella che faceva capo a Goffredo Bettini, il vero sindaco di Roma che ha lasciato governare in sua vece prima Francesco Rutelli e poi Walter Veltroni. Il suo candidato è Ignazio Marino, un nome che non dispiace nemmeno al presidente della giunta regionale del Lazio Nicola Zingaretti. Il senatore-chirurgo prenderebbe quindi i voti dei seguaci di Bettini e di pezzi di ex veltroniani.
Dei voti degli elettori di centrosinistra senza tessera in tasca non sembra importare niente a nessuno. E infatti difficilmente accorreranno in aprile alle primarie del Partito democratico per scegliere il candidato sindaco. Infine c'è il terzo incomodo: è Paolo Gentiloni. Il partito nelle sue diverse forme, correnti e sottocorrenti, non si è schierato con lui. Gentiloni, che si tiene lontano dalle beghe interne, però ha dalla sua il sostegno dei «renziani».
Alle primarie nazionali il sindaco di Firenze non è andato bene nella Capitale: si è fermato a quota 30 per cento. Una cifra che però, a causa di tutte le divisioni del Pd, potrebbe bastare in questo caso per far vincere a Gentiloni la competizione interna. Finirà come finirà , poco importa. Il dato incontrovertibile è questo: il Partito democratico a Roma non riesce a rinnovarsi. Per questo rischia di regalare il Campidoglio al candidato di Grillo.
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