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Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”
Nel ricorso in Cassazione contro l’assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo Ruby, il pg Piero de Petris mette nel mirino non le incertezze della legge Severino ma i giudici d’Appello per «lo scrutinio approssimativo e incompleto» degli atti e «l’incongrua frammentazione» delle prove.
L’assoluzione — che nella telefonata notturna del 27 maggio 2010 ha letto non un ordine ma una richiesta dell’allora premier al capo di gabinetto Pietro Ostuni della Questura milanese per far affidare in fretta alla consigliera regionale pdl Minetti la minorenne marocchina ospite di 5 notti ad Arcore — per il pg si basa sul «falso assioma di una “convergente ricostruzione”» del colloquio da parte di Ostuni e dei testi Estorelli e Valentini, quando invece il caposcorta e l’assistente di Berlusconi «confliggono» con Ostuni «su punti essenziali».
La Corte, per il pg, ha poi «amputato» e «trascurato» che Ostuni, pur consapevole già dopo 7 minuti dalla telefonata che era falsa la parentela di Ruby con Mubarak prospettata da Berlusconi, lo tacque sia a Berlusconi sia al questore, a riprova di una concussione tramite minaccia implicita: poiché «la simulazione dell’interesse istituzionale del premier» sta in piedi solo finché regge la parentela, far finta di niente è il segno che Ostuni «ha subito compreso la portata intimidatoria dell’intervento del capo del governo», e «ha capito che l’unico modo per sottrarsi all’esecuzione dell’ordine» sarebbe equivalso a «sbugiardare di fatto il premier» e quindi «esporsi a ritorsioni».
Perciò esegue l’ordine, anche superando gli ostacoli «frapposti dalle divergenti indicazioni date dal pm minorile Fiorillo» in «insanabile contrasto» con la funzionaria di polizia Iafrate: un «tema centrale» che «la distorta lettura» della Corte «ha in sostanza eluso».
In via del tutto subordinata, e in meno di due pagine su 60, il pg aggiunge che la sentenza — avendo escluso l’abuso prevaricatore di Berlusconi, ma ravvisato l’abuso di qualità che indusse Ostuni a esaudire il premier per timore reverenziale o autoindotto, imbarazzo o compiacenza — avrebbe allora dovuto condannarlo almeno per «induzione indebita» (legge Severino): e questo perché le Sezioni unite della Cassazione, «con riferimento a casi ambigui» come questo, hanno disegnato per l’indotto una «latitudine dell’indebito vantaggio» (come necessario elemento costitutivo del reato) nella quale per il pg rientra ampiamente «la ricerca di benevolenza della IV carica dello Stato, foriera potenzialmente di futuri favori».
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