FERMI TUTTI! - LA PROCURA DI MILANO INDAGA SUI RAPPORTI TRA UNICREDIT EPOCA PROFUMO E IL CONSIGLIERE DI AMMINISTRAZIONE E CLIENTE (SIC) SALVATORE LIGRESTI

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Paolo Biondani e Luca Piana per "l'Espresso"

Salviamoci da Salvatore. Tre anni fa, prima che il dissesto della famiglia Ligresti diventasse un fatto conclamato, a Milano fu organizzata un'operazione che aveva lo scopo apparente di dare nuovo ossigeno all'impero fondato dall'imprenditore di origine siciliana. Ma che, nelle sue pieghe, nascondeva un secondo obiettivo, almeno secondo i magistrati di Milano: permettere a Unicredit, la banca più esposta con le holding personali dell'anziano costruttore, di attutire il colpo di un fallimento che, già all'epoca, doveva apparire una possibilità tutt'altro che remota. E infatti il crac è arrivato non molto tempo più tardi: il 14 giugno 2012, due anni dopo l'operazione che ora è finita sotto i riflettori della magistratura.

Il nuovo fronte d'indagine è portato avanti dal pubblico ministero milanese Luigi Orsi. Si tratta di un'inchiesta diversa rispetto a quella che nei giorni scorsi ha spinto i giudici di Torino a spiccare un mandato d'arresto nei confronti di Salvatore Ligresti e dei tre figli Jonella, Giulia e Paolo. In questo secondo caso, le contestazioni riguardano la presunta falsificazione dei bilanci della compagnia assicurativa del gruppo, la Fondiaria-Sai, al fine di drenarne le risorse a favore delle holding di controllo.

A Milano, invece, è stato proprio il fallimento di due delle holding familiari, la finanziaria Sinergia e la società di costruzioni Imco, a mettere gli investigatori sulle tracce di un'operazione dai risvolti molto più complicati di quanto fosse noto finora. E se Ligresti è sotto indagine per bancarotta fraudolenta, ora la procura milanese sta valutando se allargare l'inchiesta anche ai banchieri, per l'ipotesi di bancarotta preferenziale, che colpisce le presunte manovre dirette a ottenere pagamenti privilegiati da un fallito, a danno degli altri creditori.

Il caso si apre nell'estate del 2010. Sono giorni in cui Ligresti sta diventando per le banche un problema sempre più difficile. I grattacapi nascono in particolare da un mega prestito - circa 110 milioni di euro - concesso alla sua holding Sinergia, anni addietro, dalla banca bresciana Bipop, entrata nell'orbita della romana Capitalia, di cui l'ingegnere siculo-milanese era azionista.

Nel 2010 quel fardello si è trasferito in gran parte sulle spalle di Unicredit, che ha comprato Capitalia. Il finanziamento scade in giugno e Ligresti non ha le risorse per restituirlo. Ma c'è di più: l'unica garanzia per l'istituto di credito è rappresentata dal pegno sul pacchetto azionario di maggioranza della società di costruzioni Imco, da sempre la vera passione dell'imprenditore, che ha fatto carriera come costruttore pigliatutto negli anni della Milano da bere. La soluzione più radicale sarebbe escutere il pegno, prendersi la Imco e dire addio a Ligresti. Ma il mercato immobiliare è in crisi. E a sconsigliare l'utilizzo del pegno forse è anche un motivo di opportunità: l'ingegnere è anche consigliere di amministrazione di Unicredit.

La soluzione per uscire dall'impasse arriva prima di Ferragosto, quando viene firmato un accordo sorprendente. Invece di ridurla, le banche aumentano l'esposizione nei confronti dei Ligresti: attraverso una serie di complicate operazioni, vengono fatti affluire nuovi prestiti per oltre 150 milioni proprio alla Imco, che si accolla i debiti che in precedenza gravavano su Sinergia. Gli effetti sono numerosi, ma gli aspetti più importanti sono due: Sinergia riesce a rimborsare i debiti, mentre l'intera esposizione viene trasferita su Imco, che vede il proprio indebitamento schizzare a oltre 240 milioni.

Le banche, in compenso, ne hanno un tornaconto indiretto: a garanzia dei nuovi prestiti possono iscrivere direttamente un'ipoteca sui terreni del Cerba, dove all'epoca si prevede di realizzare l'ampliamento del prestigioso Istituto europeo di oncologia di Umberto Veronesi. Se prima, in caso di fallimento, si sarebbero garantite solo con in pegno le azioni di una società in crisi, dopo l'accordo di rifinanziamento hanno l'ipoteca direttamente sui terreni di maggior valore.

Un dettaglio curioso: poche settimane dopo la firma di quell'accordo, l'amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, viene estromesso dalla banca in seguito a un drammatico confronto in consiglio. Ma, al momento del voto, Ligresti si alza e se ne va.

Interpellata da "l'Espresso", Unicredit ha risposto di non voler commentare i fatti del 2010 «anche per rispetto del lavoro dei magistrati». In passato, tuttavia, i vertici della banca hanno avuto modo di spiegare che la ristrutturazione del debito era volta ad affrontare la crisi del gruppo Ligresti, imponendo all'ingegnere una svolta.

L'attuale numero uno, Federico Ghizzoni, ha anche testimoniato a Torino, dove però i magistrati si sono occupati solo delle società a valle della catena di controllo: «C'era la necessità di imporre una gestione più trasparente e meno sensibile alle necessità dell'azionista di riferimento», ha detto Ghizzoni per spiegare la decisione di affiancare i Ligresti anche nell'azionariato di Fondiaria-Sai, come avvenuto nel 2011.

Un aspetto interessante del blitz del 2010 riguarda, però, una delle tante società lussemburghesi dei Ligresti. Si chiama Mermer international e all'epoca era intestataria di una piccola quota azionaria della Imco. Ebbene: nei bilanci della Mermer e delle altre holding che i Ligresti possiedono nel Granducato, ci sono tracce di un possibile tesoro di famiglia, depositato in luoghi ancora più inaccessibili. Tutte le lussemburghesi, infatti, ricevono prestiti da soggetti non bancari, sui quali pagano interessi minimi.

La spiegazione più semplice è che il benefattore misterioso sia la stessa famiglia. Ma quando nel 2010 la Imco si indebita fortemente con Unicredit e altre banche, paga a Sinergia un dividendo, utilizzato subito per rimborsare i suoi, di prestiti. La Mermer, invece, è costretta a rinunciare al proprio dividendo. Delle due l'una: o le banche avevano fiutato l'aria e non volevano partecipare ad altri trasferimenti di capitali all'estero. Oppure il loro unico obiettivo era mettersi al riparo. Costringendo Ligresti, almeno una volta, a rinunciare a qualcosa.

 

 

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