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Fabio Martini per "La Stampa"
Oramai sono entrati nella storia patria come i «traditori del Pd». Ma i 101 parlamentari che sei mesi fa impallinarono Romano Prodi durante le votazioni per il Capo dello Stato si sono guadagnati quel nomignolo infamante anche per un effetto-accumulo: per 20 anni i capi della sinistra sono stati bravissimi più che altro nel farsi la guerra tra loro.
Ecco perché i «101 sono l'autobiografia di un partito mai nato», come ha scritto il giornalista dell'«Espresso» Marco Damilano nel suo libro «Chi ha sbagliato più forte» (editori Laterza) da oggi in libreria e dedicato alla storia della sinistra italiana dal 1994 ad oggi. Un libro che accende i riflettori sui passaggi decisivi del ventennio anche grazie a significativi episodi inediti e alle testimonianze originali di alcuni dei principali protagonisti.
L' atto conclusivo della «guerra dei venti anni» si consuma all'indomani delle elezioni del 25 febbraio 2013. Taglientissimo il giudizio che Massimo D'Alema affida a Damilano sulla campagna elettorale di Pier Luigi Bersani: «Un rigore a porta vuota sbagliato». Nelle giornate della corsa al Quirinale, Silvio Berlusconi telefona a D'Alema, che rivela alcune delle parole pronunciate dal Cavaliere: «Ci sono dei parlamentari del Pdl che vorrebbero votare per te», ma «tanto il tuo partito non ti propone...».
Berlusconi alla fine punta su Franco Marini, ma dopo il flop dell'ex segretario della Cisl, il 18 aprile Bersani lancia Romano Prodi. In quelle ore prende corpo la candidatura alternativa di D'Alema, ma non si è mai saputo che si arrivò a predisporre quattrocento schede per il ballottaggio. Di più: «Il copione faticosamente messo a punto» prevedeva che la mattina del 19 prendesse la parola Bersani, «da parlamentare semplice» per candidare Prodi e subito dopo, nella stessa veste, Anna Finocchiaro proponesse D'Alema.
Il copione sfuma: Bersani fa «una proposta che impegna il partito». A quel punto Romano Prodi fa alcune telefonate. Tutte note. Tranne una, quella a Giorgio Napolitano. Il Professore la racconta così: «Un colloquio cordiale», ma «non è stata certo la telefonata tra un Presidente uscente e il suo successore: anche lui aveva capito che la cosa era saltata». Nelle ore che precedono il voto decisivo su Prodi, Ugo Sposetti (dalemiano e attivissimo nel preparare il cecchinaggio) capisce che il Professore non ce la farà , incrocia Enrico Letta e gli dice: «Dobbiamo prendere tempo e votare scheda bianca».
Letta, pallido, risponde: «E' tutto finito». Ma in quegli stessi minuti un deputato della corrente di Letta, il campano Guglielmo Vaccaro, fa una previsione: «Stasera salta Prodi, sarà rieletto Napolitano, che incaricherà Letta di formare il nuovo governo». Previsione profetica. Lapidaria conclusione del Professore: «La mia più grande delusione non è venuta da Berlusconi, ma dal partito che ho contribuito a fondare», per molti del Pd «è meglio perdere le elezioni che perdere il partito e pareggiarle è ancora meglio».
Nel suo libro Marco Damilano, giornalista di sinistra ma con l'orgoglio dell'indipendenza di giudizio, ripercorre i passaggi decisivi del ventennio. Del rapporto Prodi-D'Alema si racconta, agli inizi, di un incontro «in un distributore di benzina alla porte di Bologna, come due amanti clandestini» e Arturo Parisi rivela come D'Alema concluse la prima trattativa con Prodi: «Potrebbe essere utile che tu fossi affiancato da uno dei nostri, ne conosco uno che sbaverebbe dal desiderio di farlo...».
La legge sul conflitto di interessi? D'Alema: «Se l'avessimo fatta, avremmo perso due milioni di voti». Bello il racconto di Nanni Moretti sull'imprevisto comizio, nel 2002, in piazza Navona che avviò la stagione dei Girotondi: Fassino e Rutelli avevano fatto «i soliti discorsi marziali e io lentamente cominciai, senza sapere perché, ad avvicinarmi al palco», finché «una signora anziana mi ha chiesto: vuoi parlare? Ho esitato ma appena Nando Dalla Chiesa ha chiuso la manifestazione, la signora ha detto: c'è Moretti che vuole parlare!».
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