IL PROF NON ACCETTA IL SUO TRA-MONTI: SI CANDIDA A MINISTRO DEGLI ESTERI

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Fabio Martini per "La Stampa"

E ora la Grande Trattativa è davvero partita. Certo, i principali protagonisti confidano di non sapere come andrà a finire.
Ma per 48 ore si negozierà. Non più a tutto campo, perché da ieri sera (con i no unanimi a Bersani dei Gruppi a Cinque Stelle) si è definitivamente chiuso il «forno» Grillo. In compenso, all'ora di pranzo, quando mancavano tre ore all'incontro col Pdl, la trama tessuta dietro le quinte da Pier Luigi Bersani e dal suo amicissimo Vasco Errani verso il centro si era infittita e - se non proprio accogliente - era diventata quantomeno più resistente.

Soprattutto per un motivo, importante a quell'ora della giornata: Mario Monti, da giorni disponibile soltanto per larghe intese, aveva fatto sapere di non essere insensibile alla nascita di un governo Bersani. Al punto che dall'entourage del presidente del Consiglio, era trapelata una indiscrezione: se l'operazione Bersani dovesse decollare, Monti potrebbe diventare ministro degli Esteri.

E proprio a metà giornata arrivava la conferma anche ufficiale della fondatezza di quella pista: Mario Mauro, presidente dei senatori montiani, personaggio poco incline alle iniziative personali, depositava un post pubblicato sul profilo Twitter del partito: «Come nel caso Costa Concordia, la gente ci chiede "Vada a bordo". Dobbiamo governare la nave, farle riprendere il suo percorso».

Apertura più evidente, incoraggiamento più generoso al presidente incaricato non poteva venire. Eppure, la definitiva chiusura del «forno» grillino finiva per «deprezzare» l'apporto dei 21 senatori montiani. Da ieri, col no del Cinque Stelle, Bersani non deve più raggiungere quota 158, sommando «fuggiaschi» o neo-responsabili provenienti da diversi gruppi parlamentari. Da ieri, il problema è diventato quasi unicamente simbolico: Berlusconi ha fatto sapere a Bersani di essere pronto a far partire il governo ma chiede che il Pd gliene dia riconoscimento formale.

E fino a ieri sera Bersani non sembrava assolutamente dell'idea. Certo, l'incontro con il centro-destra non era andato male. Il presidente incaricato aveva decrittato subito i segnali incoraggianti. Nella Sala del Cavaliere di Montecitorio, dove Bersani riceve i suoi ospiti, il Cavaliere di Arcore non si era presentato. Discutere a porte chiuse con Berlusconi, ai leader della sinistra non ha mai portato bene e oramai è come se si fosse consolidato una specie di complesso che ne sconsiglia la «contaminazione».

Nel corso del colloquio Roberto Maroni ha mostrato tutta la sua simpatia per Bersani che, da ex presidente di Regione, è considerato dai leghisti il migliore interlocutore possibile per un partito che ha deciso di riprendere la battaglia federalista. E al termine dell'incontro le parole pronunciate davanti ai giornalisti da Alfano e da Maroni sono apparse incoraggianti a Bersani, sicuramente prive di pregiudiziali personali.

È chiarissimo anche il messaggio sul Quirinale: al centrodestra e in particolare a Berlusconi interessa soprattutto che sia eletto un Capo dello Stato che non gli sia ostile, che da presidente del Csm eserciti la sua moral suasion sui magistrati, che un domani sia in grado di esercitare il potere di grazia. Ecco perché gli sherpa dei due schieramenti hanno ricominciato a ragionare sui nomi non sgraditi a Berlusconi.

Lui sul Colle vorrebbe Gianni Letta, che però è indigeribile per il Pd. E nelle prossime ore si sfoglierà la margherita del Cavaliere: Franco Marini, già presidente del Senato, grande amico proprio di Letta; Emma Bonino, con la quale Berlusconi ha un cattivo rapporto, ma che, vista da destra, garantirebbe schiena dritta rispetto alle pulsioni corporative dei magistrati; Pietro Grasso, attuale presidente del Senato, rispettato dal Cavaliere.

E naturalmente garanzie per Berlusconi potrebbero venire anche dal Guardasigilli di un eventuale governo Bersani: per quell'incarico così delicato si sussurra il nome di Luciano Violante, in queste ore è uno degli sherpa impegnati nella trattativa, per anni considerato il principale interlocutore dei pm e che più recentemente si è impegnato in una ampia rivisitazione del suo pensiero sulla politica giudiziaria.

 

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