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Paolo Mastrolilli per la Stampa
«La mia inclinazione è quella di venire in Italia a fare i servizi sociali, perché è in Italia che è stata emessa la sentenza». Sabrina De Sousa è appena uscita dal carcere in Portogallo, quando accetta di rispondere alle domande della Stampa sul suo stato d' animo e i suoi progetti.
L' ex agente della Cia, condannata per il rapimento di Abu Omar nel febbraio del 2003 a Milano, aveva sempre sostenuto di non aver partecipato all' operazione, perché quel giorno stava accompagnando il figlio a sciare. Non potendo riaprire il processo, aveva chiesto la grazia, che era stata concessa anche a Bob Lady, l' ex capo della Central Intelligence Agency nella città lombarda.
Queste domande non avevano portato risultati, e quindi Sabrina era arrivata ad un passo dell' estradizione. Le autorità portoghesi l' avevano autorizzata, e lei era stata arrestata e portata in aeroporto, per essere trasferita in una prigione italiana a scontare i quattro anni di pena rimasti. A quel punto però il Quirinale le ha concesso la grazia parziale, e riducendo di un anno la sentenza ha bloccato di fatto la sua carcerazione e la stessa estradizione, aprendo invece la porta alla chiusura del caso con l' assegnazione ai servizi sociali.
Come giudica il comportamento delle autorità italiane nei suoi confronti?
«Sono molto grata al presidente italiano Mattarella per aver commutato la mia sentenza. Un anno in meno di pena può non sembrare molto a chi legge, ma ovviamente ha fatto una differenza critica, in quanto ha bloccato il processo proprio all' ultima ora. Il mio avvocato Dario Bolognesi poi ha lavorato molto intensamente per tutto l' ultimo anno sulla questione del perdono».
Quando ci eravamo sentiti a gennaio, prima dell' Inauguration, lei aveva detto di aver coinvolto anche il transition team del presidente Trump nel suo caso, attraverso l' ex deputato repubblicano del Michigan Pete Hoekstra. L' hanno aiutata a risolvere la questione?
«Sono stati di supporto al cento per cento».
Sul piano personale come si sente?
«Dopo dodici anni in cui non ho potuto viaggiare in Europa, dove ho parenti e famigliari vicini, questo ora è un grande sollievo. Ad esempio potrò andare a trovare mia sorella che vive in Germania. La mia famiglia in Portogallo è stata felicissima quando ha sentito la notizia, perché pensavano che non mi avrebbero più visto per un lungo periodo, se fossi finita in prigione in Italia. La cosa triste è che non sono potuta andare a visitare mia madre, che era malata ed è morta a dicembre».
Adesso quali sono i suoi piani?
«Il caso non è ancora chiuso. Il mio avvocato Dario Bolognesi ha tempo fino alla fine del mese per presentare una richiesta relativa all' assegnazione ai servizi sociali, per tre anni. La mia inclinazione è venire in Italia a farli, dato che la sentenza era stata emessa in Italia. Stiamo parlando dei servizi sociali. Speriamo ora di trovare un lavoro adatto, dove io possa essere utile».
A gennaio ci aveva detto che restavano molti fatti da chiarire riguardo la "extraordinary rendition" di Abu Omar. Pensa di prendere qualche iniziativa su questo fronte?
«Siamo concentrati sulla chiusura del caso e la richiesta per l' assegnazione ai servizi sociali».
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