DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Guido Olimpio per il “Corriere della Sera”
Un happy end con la soddisfazione di Obama e la felicità dei familiari. Un bel finale in una storia dove però non mancano i lati oscuri. Il sergente Bowe Bergdahl, l’ultimo soldato americano prigioniero, è libero. I talebani lo hanno rilasciato in cambio di cinque compagni finiti nel campo di Guantánamo.
«È la prova — ha affermato il presidente, ieri, parlando nel Giardino delle Rose al fianco dei genitori di Bergdhal — che non lasciamo nessuno sul campo di battaglia. Non abbiamo mai dimenticato Bowe». I repubblicani hanno subito criticato il «baratto» presentandolo come una concessione «ai terroristi». Obama ha poi ribadito «l’impegno a chiudere Guantánamo».
Il militare, 28 anni, era scomparso come un fantasma il 30 giugno 2009 da un avamposto nella turbolenta provincia di Paktika. Dicevano che avesse abbandonato la posizione. O che fosse rimasto indietro durante un pattugliamento. Oppure una «voce» poco gloriosa e non sorretta da prove: i guerriglieri lo avevano catturato mentre andava alla latrina. Nebbia di guerra, molti dubbi. Un mistero. Che forse sarà svelato ora che il sergente è tra i suoi. Comunque, uno scenario che ricorda la serie Tv Homeland .
La sua prigionia si è chiusa nella serata di sabato quando un elicottero carico di commandos americani ha raggiunto il punto dello scambio. Una volta a terra hanno visto arrivare un uomo dall’aspetto occidentale. Il rumore dei rotori era assordante. Bergdahl ha mostrato ai militari un pezzetto di carta con su scritto «SF?», ossia Special Forces, forze speciali. Loro hanno risposto: «Ti stavamo cercando da molto tempo».
Lui è scoppiato a piangere. Poi l’elicottero è ripartito alla volta della base di Bagram mentre un aereo decollava da Guantánamo verso il Qatar, Paese che ha svolto una mediazione importante, per consegnare alle autorità locali le cinque pedine del baratto.
Si tratta di figure non da poco: Abdul Wasiq, ex numero due dell’intelligence talebana; mullah Norullah Nori, responsabile a Mazar-e-Sharif; Khairullah Khairkhwa, molto vicino al mullah Omar, Mohammed Nabi, capo della sicurezza a Qalat; Mohammad Fazl, accusato di aver massacrato la minoranza sciita nel periodo 2000-2001. In base all’accordo dovranno restare per un anno in Qatar con il divieto di viaggiare all’estero.
Per l’intelligence il caso del sergente è stato gestito dal network Hakkani, organizzazione spesso accostata all’Isi, il servizio segreto pachistano, e coinvolta in una lunga serie di attentati. Durante la detenzione, i militanti hanno diffuso almeno cinque video che ritraevano il soldato americano. Ogni volta appelli, suppliche, il solito armamentario propagandistico.
Mosse accompagnate da una trattativa più o meno segreta che si è spesso arenata. Un dramma umano portato sulle spalle dai familiari di Bergdahl, diventati i protagonisti di una lunga lotta affinché nessuno si dimenticasse del loro figlio. Con iniziative non sempre in linea con quella ufficiale: il padre, Robert, aveva diffuso delle email dove Bowe esprimeva il suo dissenso per le tattiche inutili usate durante i pattugliamenti. Ma alla fine ha potuto gioire. Proprio pochi giorni dopo che la Casa Bianca ha dettato l’agenda per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan.
Il rilascio potrebbe fare da copione per altri negoziati. Anche se lo schieramento degli insorti appare diviso. In questi giorni è esploso un nuovo contrasto per la decisione del potente clan Mehsud di trattare con Kabul. Non tutti i ribelli l’hanno presa bene e anche all’interno dell’ala pragmatica si è prodotta una frattura, con i duri decisi a continuare nella lotta. Senza alcun compromesso .
bowe bergdahlbowe bergdahl 2Bowe Bergdahl bowe bergdahl
Un happy end con la soddisfazione di Obama e la felicità dei familiari. Un bel finale in una storia dove però non mancano i lati oscuri. Il sergente Bowe Bergdahl, l’ultimo soldato americano prigioniero, è libero. I talebani lo hanno rilasciato in cambio di cinque compagni finiti nel campo di Guantánamo.
«È la prova — ha affermato il presidente, ieri, parlando nel Giardino delle Rose al fianco dei genitori di Bergdhal — che non lasciamo nessuno sul campo di battaglia. Non abbiamo mai dimenticato Bowe». I repubblicani hanno subito criticato il «baratto» presentandolo come una concessione «ai terroristi». Obama ha poi ribadito «l’impegno a chiudere Guantánamo».
Il militare, 28 anni, era scomparso come un fantasma il 30 giugno 2009 da un avamposto nella turbolenta provincia di Paktika. Dicevano che avesse abbandonato la posizione. O che fosse rimasto indietro durante un pattugliamento. Oppure una «voce» poco gloriosa e non sorretta da prove: i guerriglieri lo avevano catturato mentre andava alla latrina. Nebbia di guerra, molti dubbi. Un mistero. Che forse sarà svelato ora che il sergente è tra i suoi. Comunque, uno scenario che ricorda la serie Tv Homeland .
La sua prigionia si è chiusa nella serata di sabato quando un elicottero carico di commandos americani ha raggiunto il punto dello scambio. Una volta a terra hanno visto arrivare un uomo dall’aspetto occidentale. Il rumore dei rotori era assordante. Bergdahl ha mostrato ai militari un pezzetto di carta con su scritto «SF?», ossia Special Forces, forze speciali. Loro hanno risposto: «Ti stavamo cercando da molto tempo».
Lui è scoppiato a piangere. Poi l’elicottero è ripartito alla volta della base di Bagram mentre un aereo decollava da Guantánamo verso il Qatar, Paese che ha svolto una mediazione importante, per consegnare alle autorità locali le cinque pedine del baratto.
Si tratta di figure non da poco: Abdul Wasiq, ex numero due dell’intelligence talebana; mullah Norullah Nori, responsabile a Mazar-e-Sharif; Khairullah Khairkhwa, molto vicino al mullah Omar, Mohammed Nabi, capo della sicurezza a Qalat; Mohammad Fazl, accusato di aver massacrato la minoranza sciita nel periodo 2000-2001. In base all’accordo dovranno restare per un anno in Qatar con il divieto di viaggiare all’estero.
Per l’intelligence il caso del sergente è stato gestito dal network Hakkani, organizzazione spesso accostata all’Isi, il servizio segreto pachistano, e coinvolta in una lunga serie di attentati. Durante la detenzione, i militanti hanno diffuso almeno cinque video che ritraevano il soldato americano. Ogni volta appelli, suppliche, il solito armamentario propagandistico.
Mosse accompagnate da una trattativa più o meno segreta che si è spesso arenata. Un dramma umano portato sulle spalle dai familiari di Bergdahl, diventati i protagonisti di una lunga lotta affinché nessuno si dimenticasse del loro figlio. Con iniziative non sempre in linea con quella ufficiale: il padre, Robert, aveva diffuso delle email dove Bowe esprimeva il suo dissenso per le tattiche inutili usate durante i pattugliamenti. Ma alla fine ha potuto gioire. Proprio pochi giorni dopo che la Casa Bianca ha dettato l’agenda per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan.
Il rilascio potrebbe fare da copione per altri negoziati. Anche se lo schieramento degli insorti appare diviso. In questi giorni è esploso un nuovo contrasto per la decisione del potente clan Mehsud di trattare con Kabul. Non tutti i ribelli l’hanno presa bene e anche all’interno dell’ala pragmatica si è prodotta una frattura, con i duri decisi a continuare nella lotta. Senza alcun compromesso .
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