LA GUERRA FREDDA HA LE SUE REGOLE, E A PUTIN LE TALPE NON PIACCIONO: “SNOWDEN SMETTA DI RIVELARE I SEGRETI DEI NOSTRI PARTNER USA”

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Anna Zafesova per "La Stampa"

La Russia non estraderà Edward Snowden, che ormai ha preso residenza nella zona di transito dell'aeroporto moscovita di Sheremetievo, e vorrebbe rimanere a Mosca dopo che le porte dell'asilo in Ecuador si sono chiuse. Parola di Vladimir Putin, che ieri ha affrontato il caso dell'ex collaboratore della Cia al centro del Datagate, e lo ha fatto con evidente fastidio.

Il Servizio per l'immigrazione russo ieri sera ha smentito la notizia, diffusa dal «New York Times», che Snowden avesse chiesto asilo politico in Russia, ma poche ore dopo il console di turno nella terra di nessuno di Sheremetievo ha confermato di aver ricevuto e trasmesso al ministero degli Esteri il plico di documenti con la richiesta di asilo consegnatogli da Sara Harrison, la collaboratrice di WikiLeaks che assiste Snowden nella sua avventura.

La risposta ufficiale non è ancora giunta, ma già poche ore prima Putin aveva fatto sapere la condizione alla quale l'ex uomo della Cia può sperare di restare nel suo Paese: «Deve cessare il suo lavoro volto a danneggiare i nostri partner americani».

Il Cremlino fin dall'inizio ha trattato la vicenda delle intercettazioni Usa come una patata bollente o, per usare un'espressione coniata dallo stesso Putin qualche giorno fa, «la tosatura di un maialino: poco pelo e molti strilli». Solo ieri mattina il capo del Consiglio di sicurezza russo Nikolay Patrushev, secondo il quale i due capi di Stato hanno dato al direttore dell'Fsb (l'ex Kgb) Alexandr Bortnikov e a quello dell'Fbi Robert Mueller di «trovare una soluzione» per lo scomodo ospite.

Stavolta Putin non vuole guai con gli americani, e infatti nel porre a Snowden la condizione di smettere di danneggiare Washington ha aggiunto ironicamente «per quanto possa sembrare strano che queste parole escano dalla mia bocca».

L'americano «non è un nostro agente e i nostri servizi non stanno lavorando con lui», ricorda Putin che, da ex spia, non nasconde la sua antipatia per un uomo che tira fuori i panni sporchi dei servizi segreti: «Si sente qualcosa di simile a Sakharov», ha commentato, paragonando il fuggitivo americano al padre della bomba all'idrogeno sovietica diventato leader del dissenso nell'Urss di Brezhnev.

Una attività che al Cremlino - che con il terzo mandato di Putin ha lanciato un nuovo giro di vite contro le Ong, soprattutto quelle con legami esteri - non può risultare particolarmente simpatica. Infatti, secondo Putin, se Snowden «lotta per i diritti umani deve scegliere il suo Paese ospitante e spostarsi lì», anche se "«purtroppo» non sa quando ciò accadrà.

Il problema del Cremlino è che può anche non considerare Snowden una causa che valga la pena di combattere, ma deve tener conto di quell'opinione pubblica fortemente anti-americana che peraltro lo stesso Putin ha alimentato negli ultimi anni.

Il presidente della Commissione esteri della Duma Alexei Pushkov si è espresso contro l'estradizione con la motivazione che l'ex agente della Cia ha messo in luce «l'anima della democrazia americana fatta di spionaggio totale», e il deputato di Russia Unita Alexandr Sidiakin ieri ha addirittura proposto di insignire Snowden del Nobel per la pace che merita «più di Obama». E Putin, non si sa quanto sarcastico, ieri ha citato «le nostre Ong» nel ricordare che un dissidente non può venire estradato in un Paese che applica la pena di morte.

 

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