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Gloria Satta per Il Messaggero
Dai «panni sporchi» al Divo. Dalle polemiche sul neorealismo fino al surreale ritratto firmato Sorrentino passando per le prime leggi del settore e l'auto gialla del «tassinaro» Alberto Sordi. La lunghissima carriera politica di Andreotti è strettamente intrecciata con sessant'anni di cinema italiano. Ed è una storia densa di episodi, prese di posizione, controversie, amicizie.
Perfino leggende: la famosa frase «i panni sporchi si lavano in famiglia», che nel 1948 il futuro senatore a vita avrebbe riferito al capolavoro di De Sica Ladri di biciclette, a sentire l'interessato non sarebbe stata mai pronunciata.
«Io il censore del cinema italiano? Ma se ho riaperto Cinecittà e rilanciato i nostri film nel mondo!», ribatteva Andreotti ogni volta che gli veniva rinfacciata l'uscita anti-neorealismo. Una corrente cinematografica sempre avversata, per carità : l'Italia, sosteneva, non è soltanto popolata di pensionati in miseria e ladri di biciclette, «ma è anche la terra di Don Bosco, di Forlanini e di una progredita legislazione».
Così lo struggente Umberto D venne bollato come «disfattista». Ma Andreotti si faceva interprete pure delle preoccupazioni del Vaticano. Con monsignor Montini, futuro Paolo VI, si rammaricava che la maggior parte dei registi italiani non nutrisse sentimenti cattolici. E riceveva le proteste di Pio XII per questa o quella scena scabrosa vista sullo schermo. Negli ultimi anni, l'influenza del senatore sulle vicende del cinema nazionale ha subito una vera riabilitazione.
LA RIABILITAZIONE
Altro che Belzebù, al Divo Giulio è stato riconosciuto un ruolo decisivo nella rinascita dell'industria. Dal suo archivio segreto, setacciato da Tatti Sanguineti per un documentario, sono spuntate alcune lettere in difesa di Rossellini attaccato dalla Legion of Decency americana per la sua relazione con Ingrid (che era sposata) e un'aspra trattativa con Washington per esportare i nostri film negli Usa.
Il rapporto di Andreotti con il cinema comincia nel dopoguerra e si chiude con Il Divo, l'applaudito e premiato film di Paolo Sorrentino: un ritratto sconvolgente, esaltato dall'interpretazione di Servillo, dell'uomo considerato dal regista il simbolo indecifrabile del potere in Italia, il lato oscuro della politica.
Il film, con le sue trame diaboliche e i baci ai mafiosi, non piacque all'originale che, durante la proiezione organizzata dall'amico Rondi, lasciò andare la proverbiale imperturbabilità e serrando i pugni esclamò: «E' una mascalzonata, io non sono mai stato così malvagio». Poi corresse il tiro: «Ho esagerato, le mascalzonate sono altre. Questa la cancello».
Sottosegretario allo Spettacolo dal '47 al '54, Andreotti liberò Cinecittà dagli sfollati e firmò nel '49 la prima legge sul cinema: imponeva tasse ai film americani, istituiva la censura e i premi ai film di valore artistico. Rilanciò anche la Mostra di Venezia e le sale parrocchiali. Se n'è andato con un rammarico: «Noi moderati siamo stati stupidi a lasciare il cinema nelle mani della sinistra».
IL FILM
Negli anni Cinquanta, Giulio diventa amico di Alberto Sordi considerato il suo omologo, quanto a durata e popolarità , nello spettacolo. L'attore arriva al punto di offrirgli il ruolo di se stesso nel film Il tassinaro: a bordo dell'auto guidata da Albertone, Giulio commenta l'Italia dei primi anni Ottanta, tra calcio e politica, esprimendo paternalistiche considerazioni sul futuro dei giovani.
Depositario dei grandi segreti della Repubblica, prima di morire Andreotti accettò di svelarne almeno uno, che per caso aveva a che fare con il cinema: confessò di essersi innamorato da ragazzo di Mary Gassman, sorella di Vittorio.
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