silvio berlusconi giorgia meloni

“QUESTA RAGAZZA MI HA ROTTO LE PALLE!” – IL RAPPORTO DI ODIO E (POCO) AMORE TRA SILVIO BERLUSCONI E GIORGIA MELONI, RACCONTATO DA FILIPPO CECCARELLI IN “B. UNA VITA TROPPO” - IL CAV NON HA MAI ACCETTATO CHE LA MELONA LO AVESSE SUPERATO ALLE URNE E, PER QUESTO, SI SFOGAVA CON SALVINI CHIAMANDOLA “LA NANA BIONDA” – GLI SCAZZI PER LA FORMAZIONE DEL GOVERNO E IL BIGLIETTINO DI  BERLUSCONI MOSTRATO AL SENATO - IL CAV CHE SBOTTA “L’HO CREATA IO” - OGGI MI HANNO CHIAMATO SIA BUSH CHE BLAIR? INVECE LA NOSTRA PRESIDENTE GIORGIA MAI”

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Estratto dal Libro “B. Una vita troppo” di Filippo Ceccarelli (Feltrinelli editore)

 

 

LA SIGNORA MELONI

 

giorgia meloni silvio berlusconi

[...] Fu proprio in quella seduta che, esasperato dalla piega che avevano preso le trattative per la formazione del governo e rivolto a Ignazio La Russa che lo stava salutando, Berlusconi mandò a quel paese l’imminente premier Giorgia Meloni e tutti i Fratelli d’Italia. Accompagnato da una specie di manata sullo scranno, l’improperio venne successivamente e inconfondibilmente decrittato attraverso uno studio del labiale.

 

In verità non era da lui ricorrere a questi termini, tanto più nei confronti di una donna. Ma come non si finirà mai di riconoscere, la politica è anche sede di incomprensibili sfoghi e c’è anche da dire che da tanti anni tra il Cavaliere e “la signora Meloni”, come la definiva nei momenti di lite per segnalare freddezza e distacco, le cose non filavano più tanto lisce.

 

silvio berlusconi giorgia meloni matteo salvini

Guai a fermarsi alle apparenze o credere troppo alle smancerie che raccontavano gli staff ai giornalisti, d’altronde è sempre così difficile distinguere le cose vere da quelle infiorettate per sembrare tali. Forse fra i due c’era ancora quella ferita delle primarie, che Meloni e altri del suo futuro partitello avevano avuto la faccia tosta di venirgli a chiedere sotto Palazzo Grazioli; poi la scissione effettuata dai Fratelli d’Italia nel momento in cui Berlusconi era nelle peste, al colmo dell’ingratitudine; poi, o forse addirittura prima, c’era stata quella brutta uscita di lei sugli scandali sessuali: come donna di destra – aveva attaccato – non mi piace per niente il comportamento del presidente e via dicendo, e lui era uscito dalla grazia di Dio: ma che si è messa in testa, le aveva mandato a dire da La Russa, “questa ragazza mi ha rotto le palle!”.

 

il videomessaggio di giorgia meloni dopo la morte di silvio berlusconi 5

Insomma, si era incrinato il rapporto e anche il fatto che Meloni fosse rimasta fuori dal governo Draghi non aveva reso più facili i contatti. Ora, si sa, i politici e ancora di più gli alleati devono pur convivere per cui fanno finta di dimenticare e ci passano sopra, magari schermandosi perfino con qualche pubblica svenevolezza, tipo guarda Silvio il filmino di mia figlia di tre anni che parla di te!

 

Ma quando nel 2019 a Berlusconi era scappata una battuta infelice, “visto che come babysitter ha lavorato con i figli di Fiorello, la vedrei bene in questo governo...”, lei aveva preso il cappello e risposto piccata:

 

“È così, caro Silvio, ho lavorato da quando andavo a scuola per non pesare troppo su mia madre. Ne vado fiera. Tutto quello che ho, l’ho costruito lavorando sodo! E alla fine sono anche riuscita a vedere quel lavoro ripagato nelle elezioni. Dispiace,” così terminava quella articolata dichiarazione, “che tu abbia preso così male il nostro successo”.

 

SILVIO BERLUSCONI GIORGIA MELONI - 2008

E insomma: al momento dell’improperio c’era già un bel contenzioso alimentatosi con i risentimenti del Cavaliere sulla corsa al Quirinale e poi con un’uscita della leader di Fratelli d’Italia che non ne poteva più degli incontri “conviviali” a Villa Grande; né doveva aver contribuito a distendere gli animi l’indiscrezione – ah, le delizie di “Dagospia”! – secondo cui negli incontri tra Berlusconi e Salvini ci si riferiva a Meloni chiamando - “la nana bionda” – ma così va il mondo, capisco benissimo che negare è molto più comodo e che ci vuoi fare?

 

La crisi ebbe come pietra d’inciampo l’assegnazione o meno di un ministero a Licia Ronzulli, che Berlusconi pretendeva d’imporre e che invece la premier, per ragioni che ignoro, non voleva nel suo governo.

 

GIORGIA MELONI SILVIO BERLUSCONI

Lui la prese come una mancanza di rispetto e un atto di sfiducia nei suoi confronti, lei probabilmente voleva proprio fargli capire che tutto era cambiato, che i rapporti di forza le consentivano ampiamente di respingere le imposizioni e che non aveva più di fronte la ragazzina di un tempo, la ruota di scorta destra da utilizzare quando Fini faceva i capricci. Come ovvio non si possiedono i resoconti stenografici di un incontro tenutosi ad Arcore due settimane dopo le elezioni, ma ce n’è quanto basta per scommettere che fu assai tempestoso.

 

Per Berlusconi il ministero a Ronzulli, persona di sua assoluta fiducia, era un fatto di principio e probabilmente si era già impegnato a garantirle la poltrona; ma anche per Meloni era un fatto di principio: Ronzulli nel suo governo non ce la voleva, era inadatta. La qualità letteraria dei retroscena è sempre molto relativa, ma è pur sempre con questi pezzi di verità che in casi del genere occorre fare i conti. “Adesso però mi dici,” faceva il sarcastico lui, “i grandi statisti che vuoi prenderti.”

 

MELONI BERLUSCONI

Lei glieli diceva e anche se non erano statisti il Cavaliere esplodeva: “Ma li ho inventati tutti io!”. A un certo punto si mise a farle pure la lezioncina: come presidente del Consiglio devi imparare a usare i verbi al condizionale, lo dico per te, quando parli dei tuoi alleati dovresti dire “il Senato mi piacerebbe tenerlo per Fratelli d’Italia“ e non “il Senato è il mio”. Non è difficile immaginare le reazioni. Quindi le rinfacciò appunto che quella poltrona, su cui poi si sedette La Russa, valeva uno o due ministeri. Al che la premier designata gli aveva riso in faccia: “Ma dove sta scritto?”.

 

SALVINI BERLUSCONI MELONI LUPI

Così a metà ottobre, nel pieno della trattativa, Berlusconi si ripresentò nell’aula di Palazzo Madama con un foglio in mano. Dalla tribuna della stampa con i teleobiettivi ingrandirono quello che c’era scritto: “Giorgia Meloni, un comportamento 1) supponente, 2) prepotente, 3) arrogante, 4) offensivo, 5) ridicolo”, ma quest’ultimo punto, pure leggibile, era cancellato. Apriti cielo, tutto stava per precipitare.

 

Non bastarono pietose scuse secondo cui quelle parole non erano ascrivibili al Cavaliere, ma ad alcuni senatori di Forza Italia; tantomeno era semplice credere al presidente La Russa che dall’alto della sua nuova dignità istituzionale sostenne fossero un fake. Sempre secondo le cronache dovettero intervenire Marina e/o Piersilvio, ovviamente preoccupatissimi, e in fretta e furia fu organizzata una visita di riparazione del Cavaliere a via della Scrofa, sede di Fratelli d’Italia, dall’intero mondo politico e giornalistico vissuta come un’andata a Canossa.

 

MURALE SALVINI MELONI BERLUSCONI CENTRO DI ROMA

Ma evidentemente e ancora una volta il mondo politico e giornalistico, e un po’ anche la famiglia, sottovalutavano la tigna di Berlusconi per cui l’effetto durò appena ventiquattro ore. Durante un’assemblea a porte chiuse con i parlamentari qualcuno aveva registrato un discorso in cui il Cavaliere era intervenuto pesantemente sulla politica estera esprimendo tutte le sue perplessità sull’aiuto della Nato all’Ucraina.

 

Con l’aria più normale di questo mondo ricordava che i ministri russi erano convinti “di essere in guerra con noi perché forniamo armi e finanziamenti all’Ucraina” e di essere “molto, molto, molto preoccupato per questo”. Rivelava inoltre di aver “riallacciato i rapporti con Putin” che per il suo compleanno gli aveva mandato venti bottiglie di vodka e una “lettera dolcissima”, che lui aveva ricambiato con una cassetta di lambrusco e una lettera altrettanto dolce.

SILVIO BERLUSCONI GIORGIA MELONI

 

Per Meloni, che in quei giorni cercava disperatamente di far dimenticare le sue origini nel partito neofascista con un atlantismo pronto, cieco, assoluto e specialmente anti-putiniano, la sparata del Cavaliere, per giunta il giorno dopo Canossa, era più che imbarazzante. Al che, sempre secondo i retroscena, disse (secondo alcuni retroscenisti “per scherzo”): “Ecco, è come lo scorpione con la rana: punge anche se sa che morirà anche lui, è fatto così, è più forte di lui...”.

BERLUSCONI SALVINI MELONI

 

Ma non era ancora finita perché a stretto giro uscì una seconda puntata di dichiarazioni filo-Putin che culminavano nell’autoriconoscimento di essere lui l’unico vero leader sopravvissuto ai Grandi del suo tempo. Al che Meloni, sempre più nera, fece sapere che “un altro scherzetto così”, e la lista dei ministri il Cavaliere “l’avrebbe appresa dal telegiornale”.

 

Sempre quel giorno, se è per questo, rispondendo a una domanda di Paolo Celata all’entrata di Montecitorio, Meloni pronunciò una frase che non si è mai capita tanto bene, ma che già così era più che sufficiente a rendere il clima: “Io non sono ricattabile”, là dove per cercare la figura del ricattatore non bisognava poi andare troppo lontano da Arcore o da Villa Grande.

SALVINI MELONI BERLUSCONI

 

Riepilogando, per quanto è possibile, la scansione e ancora di più la modalità di diffusione degli avvenimenti: la lettura della parolaccia anti-Fratelli d’Italia ricostruita alla moviola; la sequela degli aggettivi contro Meloni venuti a conoscersi attraverso i teleobiettivi; infine l’audio della concione berlusconiana a favore della Russia sfuggita di contrabbando da un telefonino malandrino.

 

Poteva trattarsi di coincidenze o sincronie alle quali Carl Gustav Jung dedicò l’ultima tranche dei suoi studi e che avevano acceso la fantasia di studiosi come Giorgio Galli in modo pericolosamente irreversibile.

 

B. UNA VITA TROPPO - FILIPPO CECCARELLI

Era come se la verità fosse venuta fuori, irresistibile; come se l’avversione reciproca fra il Cavaliere e la giovane premier avesse cercato e trovato una via, se non involontaria, almeno misteriosamente preterintenzionale. Ma poi, senza bisogno di teorie più o meno strampalate, né di consultare i tarocchi o l’I Ching, ancora una volta, per l’ultima volta, bastò vedere la faccia di Berlusconi al Quirinale dietro a Meloni che procedeva da vincitrice sulla strada del suo governo, privo ovviamente di Ronzulli.

 

Gli occhietti sempre più socchiusi e la bocca piegata in una smorfia che diceva fatica, disprezzo, ma soprattutto disgraziatissima e dolorosa incredulità per la sua condizione di maschio dominante e super Alfa ridotto a junior partner, una specie di valletto vecchio e malandato sull’attenti, lontano dai microfoni, alle spalle della Grande Novità – e il fatto che in privato esplodesse di rabbiosa meraviglia, “L’ho creata io! L’ho creata io!” aumentava la sua pena. C’era poco da fare, e ancora meno da protestare o rivendicare, da farsi concavo o convesso e tutte quelle altre robe che avevano fatto la sua fortuna.

 

filippo ceccarelli foto di bacco (1)

Nella penombra entro cui ormai era normale immaginarselo Berlusconi aspettava e soprattutto si aspettava una telefonata dalla signora Meloni. Non lo aveva proprio lei definito “il miglior ministro degli Esteri” che l’Italia avesse mai avuto? Bene, io sono qui, diceva, con la mia ineguagliabile esperienza internazionale, “lei sa che se le servono i miei consigli, sono qui, basta chiamare”. Ma Meloni niente. A volte, nel proporsi, diventava patetico: “Lo sapete che proprio oggi mi hanno chiamato sia Bush che Blair? Invece la nostra presidente Giorgia, prima dei vertici, mai”. Quasi una supplica, un’implorazione.

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