DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Estratto dell’articolo di Federico Rampini per il “Corriere della Sera”
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[…] La […] serata nello studio Abc di Philadelphia ha anticipato alcune risposte e suggerito le strategie per gli ultimi 53 giorni. Trump ha avuto dieci-quindici minuti efficaci, all’inizio del duello tv. Si parlava di economia e immigrazione. Sono i due temi più importanti per gli elettori. E sono i terreni dove lui è considerato più credibile.
Per esempio quando ricorda che l’inflazione è scoppiata sotto l’amministrazione Biden-Harris. Che i suoi dazi contro la Cina sono stati copiati dai democratici. Che sulla blindatura del confine col Messico ora Harris promette un «trumpismo di sinistra», ma quando fu incaricata del dossier migranti lei rimediò un fiasco e critiche da tutte le parti.
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Trump ha un bisogno disperato di riportare l’attenzione — a cominciare dalla sua — su questo. Deve ricordare che nel 2020 Harris prometteva il contrario: frontiere aperte, depenalizzazione del reato d’immigrazione clandestina, riduzione degli organici di polizia. Deve incollare Kamala ai suoi tre anni e mezzo di potere esecutivo, ricordare che le sue promesse attuali poteva già realizzarle dal 2021.
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Perfino sul terreno delle politiche energetiche — cruciali in Stati-chiave come la Pennsylvania — Trump è in posizione di forza. Nel 2016 era il negazionista del cambiamento climatico che stracciava gli accordi di Parigi. Oggi è Harris a stracciare la propria promessa di vietare l’estrazione di gas e petrolio con il fracking: le sanzioni contro Russia e Iran, il monopolio cinese su batterie e pannelli solari, hanno costretto la sinistra ad accantonare alcuni slogan del Green New Deal, in nome della sicurezza nazionale e dell’autosufficienza energetica.
Lui può permettersi anche di ricordare «zero guerre durante la mia presidenza, due conflitti sotto Biden-Harris», per quanto la politica estera sia in secondo piano. Sulla carta, insomma, Trump ha una strategia di rimonta che è ovvia: su questioni di fondo è più in sintonia lui con l’opinione pubblica americana. Ma per focalizzarsi sui suoi punti di forza... deve smettere di essere Trump.
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Dovrebbe guarire dal narcisismo per cui si è lanciato a testa bassa come il toro verso il drappo rosso, quando Kamala lo ha provocato sulle folle che si diradano per noia durante i suoi comizi... Vero o falso, è caduto nella trappola, ha ceduto a tutte le provocazioni. Una risalita di Trump richiede disciplina, autocontrollo, allenamento. E un pizzico di umiltà per parlare solo delle cose che interessano gli americani, tralasciando quelle che glorificano o feriscono il suo ego.
trump kamala harris taylor swift
Per Kamala la via maestra sembra essere «more of the same», rincarare la dose. Ha dato il meglio di sé sull’aborto, non solo perché la sua posizione è più popolare ma anche perché ha calato i principi in concrete tragedie umane: come le vittime di incesto che in certi Stati sono costrette a portare a termine la gravidanza. Ha difeso la riforma sanitaria detta Obamacare (che Trump tentò di far abrogare dal Congresso), ricordando l’orrore pre-esistente quando una compagnia assicurativa poteva rifiutarsi di vendere una polizza a un paziente... perché malato.
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Ha evitato programmi troppo precisi, ha promesso assistenza a tutti senza specificare come finanziarla, contando sull’indulgenza dei media, per coniugare la svolta moderata e centrista con l’appoggio dell’ala sinistra del suo partito. Si è staccata dal presidente che l’ha scelta e poi l’ha candidata: «Io non sono Biden; questa non è più la sfida fra Trump e Biden» è uno dei leitmotiv che scandivano la serata. Dovrà continuare questa sua campa-gna da vicepresidente in carica che si presen-ta però come il nuovo, un cambiamento non solo generazionale ma perfino politico, quasi un profilo da capa dell’opposizione. È alta acrobazia.
Con un avversario così poco efficace, a lei converrebbe pure un secondo dibattito; che lui probabilmente rifiuterà. A Kamala basta non scivolare di nuovo nella bolla californiana, la presunzione che le masse popolari obbediscano ciecamente agli endorsement delle celebrity, si chiamino George Clooney o Taylor Swift. […]
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