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Davide Zamberlan per “il Giornale”
È un Regno Unito sempre più spaccato quello che sta prendendo forma sulla spinta della pandemia e della Brexit.
L'ennesima prova è stata fornita ieri dal Sunday Times che ha commissionato un'indagine statistica sui sentimenti politici delle quattro nazioni. E che accanto ai malumori di lunga data che serpeggiano oltre il vallo di Adriano, evidenzia un fatto relativamente nuovo: la maggioranza in Irlanda del Nord sostiene ora un referendum sull'unità dell'isola.
Prevista dagli accordi di pace del venerdì santo che misero fine ai troubles, la consultazione popolare per decidere del futuro delle 9 contee dell'angolo nord orientale dell'Irlanda (geografica) è sostenuto dal 51% degli intervistati, a fronte del 44% di contrari.
È ancora consistente la maggioranza di coloro che preferiscono lo status quo con Belfast legata a Londra anziché a Dublino: il 47% contro il 42% di repubblicani. Tuttavia il rapporto di forza si inverte se si guardano le preferenze degli under 45 che, anche se di poco, preferiscono un'Irlanda unita (47 contro il 46%).
L'elemento principale alla base della scelta dei più giovani è la Brexit. L'Irlanda del Nord nel 2016 ha votato a favore della permanenza in Europa, conscia più di ogni altra nazione del Regno delle difficoltà economiche e politiche che sarebbero scaturite dall'addio a Bruxelles.
La parte della popolazione più dinamica e intraprendente, ma anche economicamente più esposta, accarezza il sogno di ritornare nell'Ue. I contrari a un'Irlanda unita sono invece la maggioranza tra gli over 45, la fascia della popolazione più preoccupata dalle strutture sanitarie offerte dal Paese in cui vivono: se il servizio sanitario inglese assicura una copertura universale e relativamente efficiente, ben peggiori sono i servizi offerti dalla repubblica irlandese.
IL TWEET PRO EUROPA DI NICOLA STURGEON DOPO LA BREXIT
Ciononostante la maggioranza degli intervistati, 48% contro il 44%, ritiene che la spinta verso l'unificazione sia inarrestabile e che entro 10 anni Dublino governerà anche su Belfast e dintorni.
Ma se l'Irlanda del Nord potrà rappresentare un problema futuro, l'attenzione del governo inglese è oggi rivolta a Edimburgo, da dove da mesi si registrano nette maggioranze a favore dell'indipendenza scozzese.
L'ultima registrata ieri dal Times si attesta al 49% contro il 44% dei contrari. Oltre alla Brexit è qui importante un altro fattore: la gestione della pandemia. La sanità rientra tra le competenze dalle singole nazioni del Regno e il confronto tra l'operato del governo Johnson in Inghilterra e quello di Nicola Sturgeon in Scozia è a tutto vantaggio della leader degli indipendentisti che ha fatto un buon lavoro per il 61% degli intervistati, contro il 22% dell'inglese.
boris johnson con la premier scozzese nicola sturgeon
Johnson ha un'unica carta a disposizione per poter invertire il trend, la campagna vaccinale con cui portare il Paese al di fuori del tunnel. Le prime settimane sono state molto positive, con quasi 6,5 milioni di persone che hanno ricevuto la prima dose e 500 mila che hanno avuto anche il richiamo.
La stampa applaude, Johnson ha imparato a mantenere un profilo comunicativo prudente, i sondaggi sono in leggera ripresa. Ma tutto ciò può non bastare per contenere la valanga indipendentista alle elezioni scozzesi di maggio che Sturgeon sta trasformando in un mandato per un secondo referendum.
E se Londra dovesse continuare a negarlo è pronta la carta Catalogna, a favore della quale ha votato sabato il partito nazionale scozzese: un referendum illegale organizzato scavalcando Downing Street, competente sulle questioni costituzionali.
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