DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Da “il Foglio”
nicola zingaretti presidente regione lazio
Nonostante sia estate, e non sia stata ancora fissata la data del Congresso, proseguono le grandi manovre per la corsa alla segreteria del Partito democratico. Nicola Zingaretti in questa fase sta cercando di stabilire buoni rapporti con televisione e stampa, convinto com’è che i media avranno una loro influenza nella scelta del prossimo leader del Pd.
Zingaretti sa di non poter passare come il nuovo che avanza, però è conscio del fatto che la sua figura non è affatto usurata al contrario di quella di tutti gli altri dirigenti del Partito democratico. Ed è su questo che conta.
Quello che invece il presidente della giunta regionale del Lazio non sa è che sta per partire un’altra operazione che per lui potrebbe essere rischiosa. Marco Bentivogli, segretario dei metalmeccanici della CISL, un tempo frequentatore delle Leopolde, sta scrivendo a diversi esponenti dei territori (appoggiato in questo dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori), non provenienti solo dal Pd, per sottoporre loro l’idea di dare vita a qualcosa di nuovo.
L’ipotesi non è quella di fare qualcosa contro il Partito democratico ma insieme. Sempre che il Pd lo voglia, perché altrimenti le strade di tanti Dem interessati a questa nuova iniziativa e di quelli che invece sono convinti che occorra rimanere nei confini stretti del partito, si potrebbero separare.
Quello che è certo è che questa nuova partita che si gioca dentro e fuori del Pd potrebbe rovinare i piani di Zingaretti, che pensavano di avere la strada spianata anche perché Matteo Renzi non riesce a convincere Graziano Delrio a scendere in campo.
E l’ipotesi di Teresa Bellanova, sempre sostenuta dai renziani, non sembra preoccupare troppo Zingaretti (se invece l’ex ministro Marco Minniti decidesse di essere della partita, come vorrebbe Renzi, i giochi potrebbero anche riaprirsi). Ma questa novità potrebbe rimescolare le carte e spostare la partita su un altro campo da gioco. Più vasto di quello del solo Pd.
La confusione comunque regna sovrana nel Partito democratico che in questi ultimi giorni invece di cercare di capire come contrastare la apparentemente inarrestabile ondata giallo-verde ha speso molto tempo a decidere quale posizione assumere nei confronti del decreto che affida ai libici una serie di motovedette del nostro esercito.
Al Senato il Pd aveva votato di sì per non contraddire Gentiloni e Minniti, visto che quel decreto era frutto degli accordi presi con i libici dal precedente governo. Alla Camera il Pd si è reso conto di aver fatto una cosa mediaticamente controproducente che gli avrebbe impedito di cavalcare l’onda in caso di problema con i libici e i migranti.
Però, come è noto, nel Partito democratico si fa fatica a decidere perciò Delrio proponeva l’astensione alla Camera mentre Orfini spingeva per il voto contro. Per non litigare oltre e finire sotto i riflettori il Pd ha scelto di non scegliere: non ha partecipato al voto. Ma gli strascichi polemici nel partito sono rimasti strascichi polemici perché il capogruppo del Senato Marcucci ci è rimasto male perché il pd ha sconfessato la sua decisione.
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