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Marco Bresolin per âLa Stampa'
à come un salto indietro nel tempo, di due anni e mezzo. Lui, Matteo, che fa il mattatore sul palco. L'altro, Giorgio, che annuisce in posizione defilata. Solo che questa volta sullo sfondo non c'è la stazione Leopolda di Firenze, ma lo skyline di Bergamo Alta. La città in cui Giorgio Gori non è riuscito a sfondare professionalmente - all'inizio degli Anni 80 Vittorio Feltri lo cacciò dalla redazione di «Bergamo Oggi», sbarrandogli la strada del giornalismo di provincia, ma di fatto aprendogli quella che lo ha portato nella Cologno Monzese di Berlusconi - e che ora vuole riconquistare. Da primo cittadino.
Sul palco di piazza Vittorio Veneto, Matteo Renzi lo abbraccia, sprona e i bergamaschi («Giorgio ha una straordinaria voglia di mettersi in gioco perché è tenace come voi») e gli tira la volata con un aneddoto curioso, tutto da verificare: «Già nel 2011, quando mi contattò, mi disse che il suo grande sogno era fare il sindaco di Bergamo». In pochi gli credono davvero, ma ciò che conta ora per Renzi è cancellare gli screzi del passato («Non abbiamo litigato, ma discusso, ognuno ha le sue idee»). Quasi avesse qualcosa da farsi perdonare.
In effetti ne son successe di cose da quell'ottobre 2011. Renzi ha scalato il Pd, ha lasciato Palazzo Vecchio e si è pure preso il governo. Ma l'ex manager Mediaset, il «Giorgio Guru» ispiratore di quella Leopolda, si è sentito abbandonato. Lui, renziano della primissima ora, costretto a un'umiliante test elettorale alle primarie per il Senato (solo 2.500 voti, addio seggio), ha criticato lo scarso impegno del suo leader di riferimento. Che non gli ha nemmeno trovato un posto nel nuovo Pd. Ma ora è il momento di stare uniti. In ballo ci sono la legittimazione elettorale (per Renzi) e la poltrona da sindaco (per Gori). Il passato è passato.
Poco prima di salire sul palco, Gori confida il suo ottimismo. «Andremo al ballottaggio con Tentorio (l'attuale sindaco di centrodestra, che ieri ha invitato invano Renzi in Comune, ndr), ma ce la faremo. I grillini qui non danno fastidio». Su questo ha ragione, ma Renzi preferisce volare più basso. Per lui il successo di Gori è «paradossalmente fattibile». Paradossalmente? Sì, perché il terreno bergamasco è tendenzialmente più favorevole al centrodestra («Ma noi andremo a prenderci i loro voti, senza puzza sotto il naso») e poi perché «sappiamo benissimo che il nome di Gori richiama gli attacchi di tutti».
Molti, nel centrosinistra, hanno mal digerito la candidatura di un «berluschino»: sono loro i veri elettori da conquistare. Veranda permettendo. Perché la vera protagonista di questa campagna elettorale è quella veranda abusiva che potrebbe costare molto più di una denuncia per abuso edilizio (che finirà in prescrizione). Gori, nel 2009, ha trasformato il porticato della sua villa in Città Alta in una veranda di 45 metri, senza alcuna autorizzazione. E come glielo spieghi al popolo del Pd?
Nella festa con Renzi, il dito nella piaga lo mette un aereo (leghista) con striscione «Veranda abusiva, Gori Pinocchio». L'aereo sorvola il palco di piazza Vittorio Veneto. Anche il premier sorvola. Cristina Parodi, aspirante First Lady (e comproprietaria della villa con veranda fai-da-te), si gode la performance di Matteo sorseggiando prosecco.
Dall'entusiasmo con cui lo fotografa, sembra che la vera renziana di casa Gori sia lei, berlusconiana pentita. E mentre la Parodi accarezza il figlio Alessandro, Renzi saluta e si avvia verso l'auto dopo il solito bagno di folla. «Presidente!», lo avvicina una «sciùra» sulla sessantina che gli parla dei suoi problemi. Lui schiocca le dita, punta l'indice, la fissa negli occhi: «Scrivimi lunedì: matteo-chiocciola-governo-punto-it». Lei si gira, disperata, cerca conforto: «Matteo cosa?».
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