DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Alberto Statera per “la Repubblica”
Una abbagliante jeep Renegade rossa, abbracci, selfie, John Elkann che fotografa Matteo Renzi con corona di operai quasi festanti, sotto lo sguardo compiaciuto di Sergio Marchionne a Melfi. Fiacca liturgia, nelle stesse ore, a Milano, location auditorium Expo, all’assemblea annuale di Confindustria.
Vanno in onda la flemmatica relazione del presidente uscente Giorgio Squinzi e il torrentizio intervento di Federica Guidi, ministro sì, ma come si può esserlo di Renzi.
A Melfi una sorta di narrazione da argonauti alla ricerca del vello d’oro messa in scena da due uomini potenti e talvolta insolenti: Renzi, cultore per sé del ruolo di one man show che, nonostante i non rari rovesci velleitari, occupa tutta la scena politica; Marchionne, che dopo aver arrancato per un quasi un decennio, inforca la buona sorte anche con quel modello grande, lucente e rosso esibito ieri come un trofeo, l’uomo che porta in dote al gemello quelle 1.500 nuove assunzioni di operai nello sprofondo del Sud.
renzi in macchina sulla jeep renegade con elkann e marchionne
A Milano, al di là della festante novità della location espositiva, nonostante i soliti convenevoli, spira l’aria pesante della crescente irrilevanza, del deficit di autorevolezza, della quotidiana sterilizzazione del potere dei corpi intermedi decretata dall’aspirante líder máximo . Confindustria ai margini come i sindacati. Ancora più esplicito — non segnali ma fatti — Marchionne, che abbandonò senza tanti complimenti i riti confindustriali già nel 2012: «Confindustria non mi manca», dice ora. Con Fca ha cambiato e internazionalizzato i teatri della sua sfida.
renzi elkann marchionne a melfi
Figurarsi poi se la Confindustria, con o senza le sue riforme bizantine, come quella firmata da Giampiero Pesenti, manca a Renzi, che dei presunti “salotti buoni” ha rimandato l’immagine di boudoir per babbei. Lo vedete “il Bomba”, come lo chiamavano i compagni a Rignano sull’Arno assiso tra parrucconi e maneggioni ai tavoli della Angiolillo? O avvinto agli arzilli vecchietti che governano il capitalismo di relazione all’italiana? Quanto al capo di Fca le sue relazioni salottiere le immaginiamo sul lettuccio del jet che di notte trasvola l’Atlantico a vagheggiare giostre più grandi, come adesso quella sulla General Motors.
Marchionne, per spiegare il feeling tra lui e il presidente del Consiglio, che peraltro non fu immediato, dice: «Il fatto è che io e Renzi non abbiamo paura». Per di più si sono trovati in una situazione simile: tante promesse mirabolanti per prendere il potere e neanche un soldo per realizzarle. Quanti piani d’investimento ha promesso Marchionne di anno in anno senza mai portarne a compimento nessuno? Poi il vento ha girato. Per durare finché non va meglio — concordano i due — bisogna essere «cattivi e determinati» come loro.
«Io sono stato criticato, ma me ne sono fregato», ha detto Marchionne per sostenere Renzi, che subisce davvero per la prima volta un ripiegamento della luna di miele con gli italiani e che tra poche ore dovrà confrontarsi con i risultati incerti delle elezioni regionali, che potrebbero riservare qualche non felice sorpresa di fronte ai deludenti risultati sull’economia e la disoccupazione. «Il lavoro non si crea con i talk show», mette le mani avanti, trascurando che appassionato dello star system metà della sua vita la trascorre negli studi televisivi.
La fenomenologia accoppiata dei due, in realtà, richiederebbe più spazio e più strumenti. Ma è più di una teoria l’assonanza di molte strategie: prima fra tutte, la ricerca costante di un nemico. Marchionne se l’è vista con tanti, a cominciare dai dandy della famiglia Fiat, per finire con la Fiom di Landini. Strada spianata tra i tanti avversari per Renzi, che, a parte i nemici interni al Pd che se non ci fossero dovrebbe inventarli, con l’ultima uscita sul sindacato unico, ultima delegittimazione dei cosiddetti corpi intermedi, ha riscosso ieri il bacio in fronte del gemello nato prima: «Il sindacato unico? Chi parla di regimi totalitari si sbaglia alla grande. Meglio un interlocutore che otto». Certo, meglio ancora nessuno.
renzi delrio con marchionne elkann
La Confindustria è letteralmente fuori di sé per Renzi che ormai abitualmente la snobba per fare comunella con il disertore Marchionne. Chissà che ieri a Milano- Expo non abbia timidamente cominciato a palesarsi un nuovo nemico, con Squinzi fin qui aulico zelatore, che — potenza del lessico — ha accennato a una “manina antimpresa” del governo.
Sarà poi la storia a dirci se sui gemelli sobillatori, Matteo e Sergio (il disertore confindustriale) aveva ragione Diego Della Valle che, prima di venire a più miti consigli esclamò: «Sono due grandissimi sòla».
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