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Elisa Calessi per “Libero Quotidiano”
FIDUCIA AL GOVERNO RENZI IN SENATO FOTO LAPRESSE
Lo hanno battezzato lodo salva-legislatura. Si tratta dell’interpretazione “ortodossa”, cioè di fonte vicina al premier, degli effetti che potrebbero provocarsi una volta approvata la riforma del Senato. In queste settimane, infatti, si era diffuso il panico tra i senatori per via di un’ipotesi ventilata da più parti.
E cioè che,una volta approvata la riforma che supera il bicameralismo perfetto, si potesse andare verso lo scioglimento anticipato del solo Senato, in quanto non più legittimato. Un’eventualità che aggiungeva tensione a tensione e poteva portare alcuni senatori, messi di fronte al rischio non solo di non essere rieletti,ma di tornare a casa prima del tempo, a non votare la riforma.
A chiarire che non c’è questo rischio è stato il senatore Giorgio Pagliari, renziano di stretta osservanza, professore di Diritto amministrativo a Parma e componente della Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Lo ha fatto in una e-mail indirizzata a tutti i colleghi del gruppo e che punta l’attenzione sull’ultimo articolo della riforma, il 35. Laddove si legge che «le disposizioni della presente legge si applicano a decorrere dalla legislatura successiva a quella in corso alla data della sua entrata in vigore».
FIDUCIA AL GOVERNO RENZI IN SENATO FOTO LAPRESSE
Il Senato attuale, dunque, spiega il fedelissimo del premier, resterà in carica tutta la legislatura, fino a scadenza naturale. Anche qualora venisse approvata la riforma che cambia natura e competenze di questo ramo del Parlamento. La riforma vale «a decorrere dalla legislatura successiva». Insomma, gli attuali inquilini di Palazzo Madama possono votare sereni.
L’episodio è interessante perché la dice lunga sul clima che sta accompagnando l’iter della riforma e sullo sforzo che le truppe del premier stanno facendo per portarla a compimento. Tanto che i più arrabbiati per l’email di Pagliari sono i senatori «dissidenti », quelli che la riforma non la vogliono votare.
«Dopo l’email di Pagliari la riforma la voteranno tutti,è un’assicurazione che la legislatura va avanti fino al 2018», si lamentava ieri Corradino Mineo. Il che non basta, però, ad assicurare un percorso in discesa a quella che per Renzi è la riforma delle riforme. La commissione è tornata a riunirsi e a votare, ma ormai è chiaro che i tempi si allungano. Ieri è stato votato l’emendamento dei relatori che riscrive il Titolo V della Costituzione, aumentando, rispetto al testo iniziale, le competenze in capo alle Regioni.
Approvato anche l’emendamento che evita i decreti omnibus, quello che rende possibile istituire commissioni di inchiesta nel nuovo Senato e il «bonus » di 30 giorni per la conversione dei decreti rinviati al Parlamento dal Presidente della Repubblica. Ma ne restano da votare ancora tanti, a cominciare dai più spinosi, per esempio quelli che definiscono il modo di elezione dei senatori.Le opposizioni chiedono più tempo per esaminare il testo.
Il socialista Enrico Buemi ha persino scritto una lettera al presidente Grasso. Richieste a cui il presidente del Senato potrebbbe dare ascolto, anche perché si dice non abbia gradito la nota diramata l’altro giorno dal presidente della Repubblica in cui si sollecitava a non ritardare i tempi delle riforme, interpretandolo come un’ingerenza. In più si è aggiunto il malore che ha colpito Roberto Calderoli, uno dei due relatori. Morale: nonostante la capigruppo, che si è riunita ieri, abbia confermato l’agenda dei lavori e quindi chela riforma questa mattina sia all’ordine del giorno dell’assemblea, tutti danno per scontato che non arriverà in Aula prima di domani, forse addirittura la prossima settimana.
Nel frattempo, nei corridoi di PalazzoMadama, si aggiorna di continuo la mappa del dissenso. Ieri si dava in crescita il malumore dentro il Nuovo centrodestra, dove sarebbero almeno 8 i senatori pronti a votare per il Senato elettivo.
SILVIO BERLUSCONI A PORTA A PORTA DA VESPA FOTO LAPRESSE
Mentre in Forza Italia si parla di un gruppetto tra i24 e i 27. Sommati ai 16 dissidenti del Pd, agli ex grillini e ai 40 delM5S, sarebbero sufficienti per impedire alla maggioranza di approvare la riforma con i due terzi dei voti, come richiesto nella terza e quarta lettura. Il che costringerebbe al referendum confermativo. Nonostante tutto, però, Renzi resta ottimista e deciso a combattere, davanti all’opinione pubblica, prima che nel Palazzo, chi frena o rallenta il percorso delle riforme.
Lo ha ripetuto anche ieri da Venezia,dove è andato a conclusione del Digital Venice 2014.«Noi le riforme le facciamo, piaccia o no ai frenatori. Noi portiamo a casa i risultati e non lasciamo l’Italia in mano a chi cerca di disfare il lavoro di chi prova a cambiare il Paese».
Il risultato, ha insistito il premier, «lo porteremo sulla legge elettorale, sulla riforma delle istituzioni, sulla riforma del mercato del lavoro, sulla semplificazione della burocrazia, sullo snellimento delle procedure della giustizia civile. L’Italia la cambiamo davvero,perché le vogliamo troppo bene per lasciarla in mano a quelli che sanno dire solo “no”».
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