DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Francesco Bonazzi per Dagospia
Matteo Renzi scopre il conflitto d’interessi. Improvvisamente. E per Silvio Berlusconi ecco una nuova variabile sulla strada delle cessioni. Battaglia aperta o gioco di specchi? Per ora più la seconda. Vediamo perché.
Ad aprire le danze arriva oggi l’intervista di Maria Elena Boschi al “Corriere della Sera”. Il ministro delle Riforme annuncia: “Porteremo in Aula nelle prossime settimane il conflitto d’interessi. Ora è in Commissione, chiederemo la calendarizzazione in Aula entro giugno”. Poi impartisce una lezioncina ai vari Prodi, Bersani e Letta: “Se alcuni dei nostri ex leader o ex premier avessero messo la stessa tenacia che hanno messo negli ultimi tempi sui dettagli della nuova legge elettorale per abolire il Porcellum o per avere finalmente una legge sul conflitto d’interessi, ci saremmo risparmiati molte fatiche”. Fine della predica della ministra più cara al premier.
Dalle parole della Boschi si ricava che il governo non ha un suo progetto di legge sul conflitto d’interessi, anche se fonti di Palazzo Chigi dicono che “su questo problema Renzi ha le sue idee e si vedrà a tempo debito”. Sarà, ma intanto la Boschi fa riferimento a un disegno di legge “in Commissione”. Il riferimento è al progetto Mucchetti-Zanda-Fedeli, all’esame della commissione Affari costituzionali della Camera.
Il progetto ruota intorno al concetto di “incompatibilità” e obbliga chi viene eletto, ed è azionista di controllo di società che hanno concessioni dello Stato (come Mediaset), a scegliere entro 12 mesi tra il seggio e l’azienda. La legge vieta ovviamente la vendita del pacchetto azionario a parenti o a manager della società, per evitare evidenti forme di “parcheggio” delle quote. Non solo, ma la legge sarebbe immediatamente applicabile, quindi valida anche a legislatura in corso.
La sortita della Boschi sul conflitto d’interessi ha suscitato ovviamente la soddisfazione incuriosita di Mucchetti, presidente della commissione Industria, e della Fedeli, vicepresidente del Senato. In una nota, i due senatori del Pd scrivono: “Fa piacere che il governo adesso metta in primo piano una questione istituzionale che da sempre riteniamo assai rilevante”. Come dire, “Ben svegliato, caro Renzi”.
In effetti il progetto di legge sul quale oggi la Boschi tenta di mettere il cappello è del 20 giugno 2013. Insomma, ha quasi due anni. Non male per un ministro che oggi accusa i predecessori di inattività. Il dl si è fermato prima per colpa delle larghe intese che hanno portato al governo Letta e poi, con Renzi a Palazzo Chigi, per il grande inciucio del patto del Nazareno. Una prova (che la Boschi dovrebbe ricordare bene)?
L’11 dicembre scorso, mentre al Senato si discuteva la legge elettorale, il cuore del progetto di legge sul conflitto d’interessi divenne un emendamento all’Italicum. In fondo, sempre di elezioni si parlava. Ma il governo e il Senato si sono opposti all’aggiunta sostenendo che non c’entrava nulla con la legge in discussione. Insomma, è stato l’esecutivo del quale fa parte la Boschi a non voler risolvere il problema del conflitto d’interessi.
Ma la domanda che oggi tutti si fanno in Transatlantico è “perché adesso?”. Una delle spiegazioni più maliziose sostiene che tanto, ormai, il Cavaliere fa tempo a piazzare quote di controllo di Mediaset a chi vuole e quindi si andrebbe incontro alla beffa di una legge che arriva dopo vent’anni e va pure fuori tempo massimo. Poi c’è una motivazione più tattica che arriva da alcuni deputati della minoranza piddina: “Renzi semina zizzania tra noi e Forza Italia perché teme che facciamo asse sulla riforma del Senato”. E quale tema migliore del conflitto d’interessi per avvelenare il clima e costringere gli azzurri all’isolamento?
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