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Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
Con la scusa della Brexit - che per ora non si sta rivelando quella enorme catastrofe paventata da più parti prima del referendum della Gran Bretagna - il governo di Matteo Renzi si prepara a dare un’ampia ripulita ai bilanci delle banche italiane. E a sottoscrivere titoli degli istituti fino a 150 miliardi di euro. Un’operazione articolata che sarà realizzata in parte col denaro dei contribuenti e in parte col risparmio postale.
Palazzo Chigi si muove su più fronti. Scartata (per ora) l’ipotesi di interventi diretti nel capitale degli istituti di credito (opzione respinta dagli stessi banchieri, a cominciare dal presidente Abi, Antonio Patuelli), sul tavolo restano altre strade, non alternative fra loro. La prima riguarda la creazione di un fondo Atlante bis dove iniettare nuovo denaro pubblico. Lo strumento finora è stato utilizzato per ricapitalizzare Veneto Banca e PopVicenza, ma verrebbe «spacchettato» per risolvere, almeno in parte, la grana delle sofferenze.
Il nuovo fondo avrebbe come dote iniziale i 500 milioni di euro già versati dalla Cassa depositi e prestiti (che «impiega» il risparmio postale, i cui titolari sono per lo più anziani e pensionati), anche se la stessa Cdp sarebbe pronta a versare una cifra ben più consistente (si parla di 3-4 miliardi). Un altro mezzo miliardo a disposizione è quello attualmente in pancia alla Sga, una vecchia società che alla fine degli anni ’90 era stata creata e utilizzata per salvare il Banco di Napoli.
Ma non è escluso che dai conti del Tesoro arrivino altre risorse. Atlante 2, dunque, potrebbe partire con mezzi freschi da 2 a 6-7 miliardi e, considerando la leva, potrebbe «comprare» crediti deteriorati (ovvero i prestiti non rimborsati) anche oltre quota 40 miliardi. Una cifra rilevante se confrontata non tanto con le sofferenze lorde (200 miliardi), quanto con le nette, circa 80 miliardi. In poco tempo, insomma, la metà della spazzatura finanziaria che oggi rappresenta uno dei principali guasti del settore bancario verrebbe scaricata, di fatto, sui contribuenti e sui pensionati (con esiti incerti).
C’è da dire che Intesa, primo gruppo del Paese, non è interessata a gestire «fuori casa» i suoi problemi coi finanziamenti non rimborsati. E anche Unicredit, che deve rinnovare il piano industriale ora che ha un nuovo capo azienda (il francese Jean Pierre Mustier), potrebbe snobbare Atlante. A sfogliare la margherita, tra i big resta solo il petalo del Monte paschi di Siena (che ha più di 20 miliardi di prestiti a rischio): l’intera manovra, dunque, sembra architettata per togliere le castagne dal fuoco alla ex banca del Pd (e una volta ripulita, potrebbe tornare in campo Ubibanca per le nozze).
Fin qui il discorso delle sofferenze. Poi c’è un nuovo «schema» di garanzia concordato con l’Unione europea. Il governo Renzi, infatti, ha portato a casa un risultato positivo (che a prima vista è apparso ben più importante della realtà). Domenica scorsa, Bruxelles ha dato il via libera a Roma a un paracadute pubblico (valido per il 2016) volto a mettere in sicurezza la liquidità delle banche fino a 150 miliardi di euro. Il tutto nel rispetto delle regole sugli aiuti Stato e attivabile sono in situazioni eccezionali.
Si tratta di una misura sostanzialmente simile a quelle varata a novembre 2015 dal governo Berlusconi, che introdusse una tutela sui conti correnti fino a 100mila euro da affiancare all’assicurazione del Fondo interbancario. La differenza, stavolta, sta nel fatto che lo stanziamento potrà essere utilizzato per sottoscrivere obbligazioni bancarie (bond senior), di fatto affiancando le Gacs (le garanzie sulle cartolarizzazion) varate qualche mese fa e ignorate dalle banche.
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