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Maria Teresa Meli per il "Corriere della Sera"
«Non ho paura. Come va a finire va a finire, ma una sola cosa è certa: non ho paura di come finirà al Senato»: Matteo Renzi è convinto che, tra un tira e molla e l'altro, non ci sarà Grasso che tenga. E nemmeno la minoranza interna lo preoccupa. «Nessuna paura», ripete il presidente del Consiglio. Spavalderia? O una sorta di mantra confortante e autoconsolatorio, che Matteo Renzi ama ripetere ai compagni di partito, ai colleghi di governo e ai giornalisti, per non sentirsi sulle spine per quello che avverrà di qui al 25 maggio a Palazzo Madama?
La verità é che sul serio il presidente del Consiglio non teme la prova dell'Aula che dovrà pronunciarsi sulla riforma del Senato. A Palazzo Madama lo sanno tutti. A cominciare dai pochi lettiani e bersaniani che puntano a una rivincita in Parlamento.
Tant'è vero che alla Camera proprio gli ex lettiani e gli ex bersaniani si sono acconciati a dare vita a una corrente che ha come unico scopo il «prepensionamento» dei vecchi leader - a cominciare da Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema - e la nascita di una nuova componente che interloquisca con il leader. Ci saranno dunque problemi al Senato? A sentire i parlamentari del Partito democratico no. «Fosse per me lo abolirei», dice Enzo Amendola. «Figuriamoci se questo è il problema», assicura Nico Stumpo. E si sta parlando di deputati che non hanno fatto di certo il tifo per Renzi. Anzi.
Insomma, per farla breve, dal Pd Renzi non ha problemi veri. Lo sapeva anche il presidente del Senato, che ha pubblicamente preso la parola per dire che il progetto del segretario del Pd non gli piaceva.
Pietro Grasso, qualche giorno fa, prima di fare la sua uscita pubblica, aveva detto quello che pensava anche al capogruppo del Pd Luigi Zanda: «Possibile che tu stia zitto? Non capisco perché pure tu non difenda il Senato di cui fai parte. Muoviti».
E Zanda gli aveva spiegato che ormai persino Anna Finocchiaro, di rado d'accordo con il premier, aveva capito che non era più il caso di fare resistenza. Del resto, il presidente del Consiglio lo ha spiegato ai fedelissimi: «Se il disegno di legge non passasse con la maggioranza necessaria, per una riforma costituzionale, cioè con i due terzi, si andrebbe al referendum. E sapete che c'è? A quel punto il provvedimento passerebbe con un plebiscito popolare». Ed è questa la vera ultima strada del premier.
La strada che nessuno vuole intraprendere perché sa che, alla fine della festa, sulla ruota della fortuna politica, Renzi può giocare la carta più pesante. à questo il motivo per cui Berlusconi, pur vedendo i sondaggi che danno Forza Italia in picchiata, alterna la frenata e l'accelerata. Già , il leader di Forza Italia teme che Renzi si giochi il tutto per tutto. Magari anche ventilando elezioni anticipate, dopo l'eventuale referendum confermativo.
A quel punto, e questa è l'opinione di Berlusconi, «Renzi avrebbe tutto per sé: le urne prima del tempo, per saldare la sua leadership, il referendum confermativo, per saldare il suo asse con il Paese e poi chissà che altro...».
Ma in realtà , l'uomo che continua a dire «non ho paura», anche se lo ha confessato a pochissimi, un timore lo ha. à un rovello che lo rode dentro. E non riguarda l'eventuale reazione della minoranza tradizionale, per intendersi quella degli ex Cuperlo, perché con quella parte del Pd il premier sta già regolando i conti, anche nel caso in cui questo equivalga a una distribuzione di posti, prebende e seggi che verranno. Riguarda piuttosto l'unica vera opposizione che esiste ormai dentro il Partito democratico: l'ala di Pippo Civati.
Ecco di che cosa ha paura il presidente del Consiglio: che la corrente civatiana conduca con il Movimento 5 Stelle la battaglia contro quella che sia Grillo che Civati definiscono «una finta riforma». La saldatura mediatica di questi due mondi potrebbe mettere in difficoltà persino il Renzi sulla cresta dell'onda.
GIUSEPPE CIVATI FOTO LAPRESSE CUPERLO RENZI CIVATI BEPPEGRILLO CONFRONTO SKYTG RENZI CUPERLO CIVATI Aurelio Regina Pietro Grasso FIDUCIA AL GOVERNO RENZI IN SENATO FOTO LAPRESSE Luigi Zanda Anna Finocchiaro
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