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“RENZI VOLEVA TAGLIARCI LE RADICI” – BERSANI TESTIMONIA SUL CASO OPEN INSIEME AD ALTRI BIG ED EX PIDDINI - L’EX PREMIER, IN QUANTO RITENUTO IL DIRETTORE DI OPEN (CHE IN SETTE ANNI HA RICEVUTO FINANZIAMENTI PRIVATI PER 7,2 MILIONI), È IL DOMINUS DELL’IMPIANTO ACCUSATORIO. LA REPLICA PUNTUTA DI MATTEUCCIO:
Claudio Bozza per il Corriere della Sera
Pier Luigi Bersani, Rosy Bindi, Matteo Orfini, Antonio Misiani, Maurizio Martina, il defunto Guglielmo Epifani, Francesco Bonifazi. Sono i big (ed ex) del Partito democratico che la Procura di Firenze ha chiamato a testimoniare durante le lunghe indagini sulla Fondazione Open, cassaforte e braccio operativo dell’attività politica di Matteo Renzi, da Palazzo Vecchio a Palazzo Chigi.
Undici gli indagati a vario titolo, tra finanziamento illecito ai partiti, corruzione, riciclaggio e traffico di influenze. L’ex premier, in quanto ritenuto il direttore di Open (che in sette anni ha ricevuto finanziamenti privati per 7,2 milioni), è il dominus dell’impianto accusatorio. L’obiettivo dei pm Luca Turco e Antonino Nastasi, qualora si arrivasse al processo, è quello di provare che Open operasse come un’articolazione di partito.
E navigando nel mare magnum delle 92 mila pagine dei faldoni depositati con la chiusura delle indagini, colpiscono le parole di Pier Luigi Bersani: «Che informazioni ha sulla Fondazione Open?», chiedono i magistrati. E l’ex segretario del Pd tra il 2009 e il 2013, prima della scalata di Renzi, dopo un’articolata premessa risponde così: «La nuova componente (corrente renziana, ndr) aveva l’obiettivo di scalare il partito attraverso una piattaforma politica molto aggressiva, un sistema ampio di relazioni e una vera e propria raccolta fondi».
E poi: «Da segretario vedevo chiaramente questa componente, pur essendo totalmente intrinseca alla battaglia politica nel Pd, tuttavia cercava forme che potessero suscitare il coinvolgimento di soggetti esterni al partito stesso — aggiunge Bersani —, ma interessati a tagliarne le radici della sinistra storica, politica e sindacale». Tutti i big ascoltati — in gran parte avversi a Renzi, ad eccezione di Martina e del fedelissimo Bonifazi — incalzati dai magistrati hanno dichiarato di non essere al corrente che alcuni parlamentari renziani (eletti in discreto numero nel 2013) finanziassero anche Open. Una cifra aggiuntiva, visto che l’ex tesoriere Misiani, a verbale, ha ricordato che il regolamento del Pd prevede che ogni parlamentare versi 1.500 euro mensili al Nazareno. I pm, ai testimoni, chiedono anche perché, dal 2013, i finanziamenti privati destinati al Pd inizino a crollare.
Lo stesso Misiani risponde che tra le cause principali «dopo l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti» c’era «il discredito della politica dopo gli scandali Lusi (tesoriere della Margherita, ndr) e Belsito (Lega, ndr)». È quindi in questo contesto che i finanziatori hanno deviato il proprio sostegno verso altri contenitori, come appunto Open. Anche Orfini, già presidente dell’assemblea nazionale pd, parla del brusco arresto del sostegno ai dem: «La raccolta fondi privata subì un drastico ridimensionamento dopo l’inchiesta di Mafia capitale, nel senso che il partito decise di interrompere lo svolgimento delle grandi cene di raccolta fondi che erano state organizzate a Milano a Roma».
Intanto Renzi, annunciando che dal 19 al 21 novembre si terrà la Leopolda 11, reagisce duramente davanti alle informazioni emerse dopo la chiusura della indagini: «Chiamano libertà di informazione quella che, in realtà, è una reiterata violazione di ogni forma di privacy, di guarentigie costituzionali, di rispetto della libertà personale e dell’iniziativa economica», scrive nella sua enews. E infine: «Sono le stesse notizie da anni, gli sms anche privati di parlamentari in carica, le fatture professionali sulle quali ci sarebbe un segreto bancario che vale per tutti tranne che per me, la corrispondenza coperta da divieto costituzionale di acquisizione, che viene allegramente rimbalzata di redazione in redazione».
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