DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
«BB King», titola a tutta pagina il New York Post , il quotidiano conservatore di Rupert Murdoch per esprimere il suo apprezzamento per il risultato ottenuto alle urne da Benjamin «Bibi» Netanyahu, mentre i repubblicani americani esultano dopo la vittoria della destra alle elezioni israeliane. Invece la Casa Bianca, che pure dovrà tentare di normalizzare, per quanto possibile, le relazioni con Gerusalemme dopo i ripetuti scontri degli ultimi anni, per adesso tiene la guardia alta.
Nella prima reazione pubblica il portavoce del presidente, Josh Earnest, si è detto preoccupato per la retorica anti-araba che ha contrassegnato le ultime battute della campagna elettorale. Evidente il riferimento alla sortita di Netanyahu che, a urne aperte, è andato in televisione per avvertire che gli arabi cittadini d’Israele stavano votando in massa e che questo avrebbe potuto cambiare il risultato del voto. Un’iniziativa politica, quella del premier israeliano, che il New York Times ha definito senza mezzi termini «razzista».
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Earnest non ha citato fatti specifici, ma ha stigmatizzato i tentativi del Likud, il partito del premier, di emarginare la minoranza araba d’Israele. La Casa Bianca continua a sostenere la soluzione dei due Stati per il conflitto israelo-palestinese, ma il portavoce ha dovuto ammettere che, dopo gli impegni in senso opposto presi da Netanyahu davanti ai suoi elettori, «dovremo valutare nuovamente la situazione».
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La vittoria del premier uscente è certamente un risultato sgradito per Obama che non lo ha ancora chiamato per congratularsi: «Lo ha già fatto il Segretario di Stato, John Kerry, il presidente lo farà nei prossimi giorni», ha spiegato Earnest ai giornalisti, aggiungendo che una simile scelta non è anormale: dopo le ultime elezioni in Israele, la Casa Bianca aspettò l’incarico per la formazione del nuovo governo prima di congratularsi col vincitore.
Nell’Amministrazione Usa nessuno si affanna per mascherare la delusione per il risultato elettorale: i sondaggi davano in testa il laburista Herzog che aveva annunciato la volontà di ricucire con Obama. Invece ha vinto alla grande Netanyahu, reduce da uno scontro durissimo con la Casa Bianca.
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C’è sempre la speranza che si formi un governo di unità nazionale, certo, ma a questo punto il capo del Likud ha i numeri per governare, e con un buon margine di sicurezza, insieme agli altri partiti della destra. Quindi Netanyahu continuerà a fare di tutto per cercare di sabotare il negoziato di Obama con l’Iran sul nucleare che è ormai in dirittura d’arrivo. Il presidente lo sa e sa anche che si fa più stretto il suo sentiero al Congresso.
C’è un solo dato che potrebbe rivelarsi per lui positivo: con uno scontro così duro tra repubblicani e democratici su Israele, sarà difficile per i conservatori trovare tra i parlamentari di sinistra che sono amici del mondo ebraico i voti necessari per scavalcare con una maggioranza qualificata il veto che Obama porrà su ogni norma del Congresso mirante a bloccare o a depotenziare l’accordo Washington-Teheran.
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Sempre che quell’intesa vada in porto. Gli analisti del Council on Foreign Relations danno anche per scontato che il risultato del voto in Israele sia, sotto sotto, quello più gradito dalle capitali arabe sunnite, più interessate a evitare un aumento dell’influenza politica degli ayatollah di Teheran in Medio Oriente che ai destini del popolo palestinese.
Certo, la durezza di Netanyahu isola Israele a livello internazionale: con l’Europa contrariata, Gerusalemme dovrebbe almeno cercare di recuperare il rapporto con gli Stati Uniti.
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Superata la fase calda della campagna elettorale, verranno fatti tentativi di riconciliazione, ma i dissensi maturati tra le due amministrazioni negli ultimi anni sono profondi: difficilmente si arriverà a una riconciliazione, anche perché i repubblicani soffiano sul fuoco dei contrasti. «Penso che frizioni e tensioni continueranno — dice il senior fellow del Council, Robert Danin — anche se assisteremo a uno sforzo di ridurre il volume del conflitto».
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