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Ritanna Armeni per www.linkiesta.it
Tutte le donne sbarcate dalla Diciotti hanno dichiarato di essere state stuprate in Libia. I medici che le hanno visitate hanno confermato. Tutte. Perché lo stupro non è nei campi dai quali provengono e nei luoghi che hanno attraversato per tentare di raggiungere il barcone che doveva portarle sulle ambite coste italiane, un’eccezione, un atto barbaro e vili perpetrato da alcuni – pochi – uomini nei confronti di alcune – poche - donne.
È la norma, il comportamento prevalente, l’ovvio quando s’incontra una donna sola, senza difese, ricattabile. Soprattutto se è stata presa e rinviata in uno dei tanti campi di detenzione dove oggi si raccolgono i disgraziati rimandati indietro o che non ce l’hanno fatta a partire.
L’attuale ministro dell’Interno lo sa bene, ma non gliene frega niente. L’importante per Salvini è mettere in moto la macchina della propaganda, quella che lo mostra ai suoi e all’Europa duro, forte, capace di stroncare i traffici, di salvaguardare il territorio italiano, di combattere una presunta criminalità. Propaganda certo, ma efficace e pericolosa.
Che non si ferma neppure di fronte alla violenza, allo stupro, alla certezza che a questo sarebbero ancora condannate le donne se fossero costrette a rientrare. Ho sentito molta indignazione da parte chi avversa Matteo Salvini. Giusta indignazione. Ho percepito solidarietà con le donne e gli uomini della Diciotti. Anche queste sacrosante. Ho visto leader politici recarsi sul porto di Catania per testimoniare contro una politica crudele in nome dell’accoglienza e della solidarietà.
Ma ho constatato anche, soprattutto a sinistra, molte dimenticanze, un oblio profondo, una rimozione sconfinata. La politica sull’immigrazione perseguita dal governo sostenuto fino a qualche mese fa da chi protestava, le linee indicate e seguite dal ministro dell’Interno di quell’esecutivo, Marco Minniti, hanno previsto e praticato nei mesi scorsi il blocco alle partenze di tante donne che nei campi libici subivano già allora indicibili violenze.
Che ha dato denaro a gruppi e tribù che poi di quei profughi e di quelle donne hanno fatto quel che hanno voluto, protetti questa volta da accordi internazionali, agevolati dall’acquiescenza del governo italiano. Tutti sapevano quel che avveniva nei campi dove chi voleva arrivare in Italia era costretta a restare. Tutti avevano chiara la sorte di quelle donne, molte delle quali giovanissime, alcune ancora bambine.
Allora – e stiamo parlando solo di qualche mese fa – questa era la politica civile di una sinistra progressista che oggi predica l’antirazzismo. E che quindi, malgrado gli sforzi compiuti, non appare credibile. Come si fa a credere a chi quando era al governo quelle donne le avrebbe lasciate all’inferno? A chi pur sapendo che cosa toccava in sorte a loro in Libia, non ha avuto dubbi a finanziare chiunque pur di farle rimanere lì, pur di “risolvere il problema”?
Marco Minniti, in un'intervista su Repubblica, accusa Matteo Salvini di provocare “uno slittamento della democrazia”, “di aver creato una situazione senza precedenti e senza giustificazione”. Probabilmente è vero. Ma quelle parole vengono da chi non ha esitato a perseguire una politica altrettanto dissennata e crudele. Con qualche accortezza formale e qualche ipocrisia in più. Non si può dimenticare, non dobbiamo dimenticare. Anche quando combattiamo Salvini.
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