RODOTÀ AL COLLE AVREBBE DATO UN ‘MATTARELLUM’ IN TESTA A GRILLO

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Franco Bechis per "Libero"

Se Beppe Grillo fosse riuscito a fare eleggere al Quirinale Stefano Rodotà, avrebbe rischiato di fare scoppiare il primo caso istituzionale proprio con il Movimento 5 stelle. Su cosa? Sulla legge elettorale.

Come ha spiegato infatti Grillo più volte in questi giorni- e l'ultima durante la conferenza stampa di domenica a Roma- M5S chiede ai partiti di levare via con un colpo di penna il Porcellum. «Basta mezz'ora», ha spiegato Grillo, «e si approva un solo comma di legge che abroga quella porcata. Così torna in vigore la legge precedente, quella maggioritaria con i collegi uninominali».

Grillo è sempre tranchant, e a dire il vero il suo metodo non è possibile, altrimenti sarebbe stato ammesso il referendum che proprio questo si proponeva. Il Mattarellum fra l'altro non prevedeva collegi all'estero, mentre fra una legge e l'altra il voto degli italiani all'estero è stato inserito con una modifica alla Costituzione. Per mettere a posto le cose ci vorrebbero dunque lunghi mesi, e forse più di un anno. Il Mattarellum aveva per altro un nemico numero uno: proprio Rodotà.

Quando Grillo ancora calcava i palcoscenici facendo il comico a tempo pieno, l'allora presidente dimissionario del Pds spaccò una volta di più il suo partito mettendosi alla guida del comitato del No alla legge maggioritaria che introdusse in Italia il referendum promosso da Mariotto Segni. Rodotà era certamente in larga compagnia, e nell'occasione si trovò ad andare a braccetto perfino con Bettino Craxi che non amava affatto il maggioritario.

L'avversione al maggioritario del professore appena battuto da Giorgio Napolitano nella corsa al Quirinale era ideologica, politica, culturale, quasi totale. Quel che temeva all'epoca era la retorica del «nuovismo» dietro cui secondo Rodotà si sarebbe nascosto qualcosa di molto antico e assai poco democratico. Il professore che piace tanto a Grillo alla vigilia del referendum che avrebbe introdotto il maggioritario spiegò il suo no con un un articolo sull'allora settimanale di Rifondazione comunista, Liberazione.

«Nel gran rimescolamento di questi tempi», scrisse Rodotà, «si fa concreto il rischio di una paradossale continuità, quella con gli anni Ottanta, che pure tutti dicono di ripudiare e di voler allontanare da sé». Il professore si allarmava proprio per il diffondersi di alcuni slogan che anni e anni dopo sarebbero stati usati a piene mani dai seguaci di Grillo: «Si abusa del termine "nuovo", con l' invocazione di facce "nuove", i partiti "nuovi".

Immemori o incolti, i banditori di questo credo non sembrano essere neppure sfiorati dal sospetto che proprio questo fu uno degli slogan di quegli anni»'. Rodotà era contrario al maggioritario anche per i suoi contenuti, con riflessioni che andrebbero rilette proprio oggi mentre si assegna a una nuova legge elettorale quel potere salvifico e di purificazione del quadro politico che in nessun modo potrebbe avere.

«Si dice che saranno i cittadini a scegliere il Governo», osservò Rodotà, «mentre si sa che questo non è il frutto del solo sistema elettorale, ma di ben più complessi meccanismi ed equilibri politici. Si dice che avranno finalmente la possibilità di giudicare alla fine di ogni legislatura l'operato del Governo e, se la loro valutazione sarà negativa, di sostituirlo immediatamente con un altro: ma così si tace dell'eventualità ancora più probabile, quella di nuovi governi di coalizione».

Una posizione dunque culturalmente agli antipodi del Movimento 5 stelle, che dovrebbe fare di Grillo un rivale di Rodotà. Cosa che in effetti è avvenuta per anni fra i due, che non l'hanno mai pensata allo stesso modo. Rivali veri e propri Grillo e Rodotà lo sono pure stati nel 1996, grazie a un episodio che quasi nessuno ricorda. Grillo fu infatti candidato da Adusbef , dai Verdi e dalla Rete, alla guida dell'autorità garante della privacy. E quella volta fu battuto proprio dall'ex presidente del Pds...

 

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