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Claudio Tito per “la Repubblica”
«Le migliori soluzioni si basano sui migliori dati». Nell’homepage del suo sito, questo è uno degli slogan che usa. Ma non è solo un motto. I “Big data” sono il metodo di Jim Messina, capo della campagna elettorale di Obama nel 2012.
Quella che ha portato alla rielezione del presidente americano. Un curriculum lungo. Con consulenze ad alcuni degli attuali leader mondiali. Dall’attuale inquilino della Casa Bianca, appunto, al premier britannico David Cameron.
Da Washington, dove ha sede la sua società – la MessinaGroup – nei prossimi mesi si trasferirà in Italia. Sarà lui, infatti, il “guru” di Matteo Renzi per i prossimi impegni elettorali. O meglio, per il prossimo appuntamento referendario sulla riforma costituzionale. Quello su cui il presidente del consiglio ha deciso di giocarsi la testa. «Se lo perdo – ha detto martedì scorso - lascio la politica».
Messina e il capo del governo si erano già conosciuti lo scorso anno. Ma l’incontro finale per firmare l’accordo c’è stato mercoledì scorso a Roma. Il suo datore di lavoro fino ad ottobre sarà dunque il Pd. Il rapporto, infatti, non è con il governo ma con la segreteria del partito democratico. Si tratta di una consulenza di natura politica e non istituzionale.
Nel faccia a faccia di due giorni fa, i due hanno già iniziato a fissare alcuni punti fermi della prossima campagna. Il concetto di fondo sarà il “door to door”, il classicissimo porta a porta. Fu una delle mosse più azzeccate studiate nel 2012 per Obama. L’idea è di trasferirla anche nel nostro Paese. Tornare al metodo più antico, ma con sistemi moderni.
Messina, però, non sarà un vero e proprio responsabile della “propaganda” referendaria. Suggerirà una strategia di fondo. Soprattutto metterà a punto i criteri per organizzare i comitati per il sì. In modo particolare preparerà i “sostenitori” che gireranno casa per casa. Si concentrerà su una sorta di “formazione” per i “volontari del referendum”. Spiegherà dove bussare e quando farlo. E quale tipo di messaggio trasmettere.
Il tutto basato sui metodi americani di analisi dei dati. Per Messina, infatti, la vera bussola è da cercare nei “Big data”. Raccogliere il maggior numero di informazioni, scomporle, riaggregarle e poi analizzarle. Il primo passo, ad esempio, sarà lo studio della distribuzione territoriale degli elettori. Se fossimo negli Stati Uniti si tratterebbe di segnalare i flussi e i punti deboli di ogni singolo collegio. L’obiettivo è organizzare i famosi “focus group” provincia per provincia. Accompagnati da sondaggi su base nazionale e locale.
Due dei suoi “soci” – le basi operative resteranno a Washington e Londra - si trasferiranno stabilmente a Roma da aprile. Non è un caso che proprio Renzi nei giorni scorsi abbia annunciato l’avvio della campagna referendaria subito dopo l’approvazione in Parlamento della riforma costituzionale. Una circostanza che obbligherà il ”super-esperto” a stelle e strisce a tener conto anche delle elezioni amministrative che si terranno a giugno. La sovrapposizione dei due impegni è evidente. E seguirà con attenzione anche la “corsa” dei candidati democratici a Roma, Milano, Torino e Napoli.
Messina ha garantito la sua presenza nei momenti chiave. Il “campaign maker” statunitense del resto vola spesso nel nostro paese. Come si capisce dal suo cognome ha origini italiane e uno degli episodi che preferisce raccontare è legato alla sua vita privata: «A Firenze ho chiesto a mia moglie di sposarmi». Anzi, da allora proprio in Toscana ha deciso di comprare casa e di trascorrere parte delle sue vacanze.
Renzi non è il primo a ricorrere ai grandi consulenti americani. In passato lo fece già Francesco Rutelli nel 2001 con Stanley Greenberg, lo stratega di Bill Clinton. Nel 2006 Silvio Berlusconi accettò il consiglio di George Bush e si affidò ai servizi di Karl Rove, l’uomo-ombra dell’allora presidente Usa. E nel 2013 Mario Monti si rivolse a David Axelrod, uno degli artefici delle campagne di Clinton e dello stesso Obama. Ma ancora più di recente addirittura il sindaco di Lecco, Virginio Brivio, chiamò lo scorso giugno Mike Moffo, altro uomo dello staff obamiano, per la conferma al comune.
Messina, che potrebbe essere lo “stratega” anche di Hillary Clinton se vincerà le primarie dei democrats, arriva in Italia dopo tre successi. La conferma, appunto, del presidente Usa nel 2012. La vittoria del premier inglese Cameron nell’ultima competizione elettorale e in quella cruciale nel referendum per l’indipendenza della Scozia. Un precedente che ha pesato non poco nella scelta del segretario democratico. È stata determinante la circostanza di aver già sperimentato una competizione referendaria in cui non si cura l’immagine di un candidato ma di un progetto. E in cui gli elettori sono chiamati a una scelta univoca: si o no.
Ovviamente il ”guru” renziano non lavorerà in Italia a titolo gratuito. Il contratto, stipulato dal Pd, prevede un compenso che si avvicina ai 100 mila euro. Ma c’è anche un’opzione: in caso di vittoria, ci sarà anche la conferma per le prossime elezioni politiche.
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