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Malcom Pagani per il “Fatto Quotidiano”
Mario Cecchi Gori, produttore: “Il copione di Compagni di Scuola me lo tirò in faccia. 220 pagine di sceneggiatura sparse per la stanza e l’umiliazione di dover raccogliere i fogli dal pavimento mentre Mario demoliva le fondamenta del progetto che volevo realizzare a tutti i costi: ‘Ma sei impazzito? Ma a Natale vuoi prendere sberle proprio da tutti? Il film è verboso. Parlate, parlate, parlate. E poi? Che succede? Te lo dico io, non succede niente’”.
Con 18 attori da dirigere Carlo Verdone andò alla guerra e qualcosa, sorprendentemente, accadde: “Cecchi Gori mi diede un via libera condizionato da un giudizio severo:‘Anche se giri meglio di come scrivi, Compagni di scuola non mi convince per niente’ e da un augurio che suonava come una minaccia ‘Spero che il risultato sia comunque buono, per me e soprattutto per te’. Poi sparì. Si eclissò.
Ci incontrammo tempo dopo per vedere insieme il primo montato. Si accesero le luci. Mario si alzò, mi abbracciò, mi diede due schiaffetti: ‘Bravo. Mi hai fregato. Mi inculi sempre’. Non disse altro. Era un uomo di poche parole”. Quasi trent’anni dopo, al venticinquesimo film da regista, vigilie ed esami somigliano ad allora: “La paura di essere inadeguato non mi ha mai abbandonato.
Sul lavoro mi sento sotto esame e ancora oggi, una settimana prima di battere il ciak, entro in fibrillazione: ‘Sarò all’altezza? Supererò l’ostacolo?’ Mi metto continuamente in discussione”. In L’abbiamo fatta grossa, nei cinema dal 28 gennaio per Filmauro, Verdone è un investigatore privato al soldo di Antonio Albanese, attore di teatro: “molto medio” afflitto dalle corna della ex moglie e da improvvise perdite di memoria in scena: “Il nostro vero terrore. Antonio, dopo L’abbiamo fatta grossa, l’ha avuto per mesi. Mi telefonava: ‘E se mi succedesse davvero, Carlo?’”.
Albanese le telefona?
Trascorri due mesi con altri attori, ti illudi di aver trovato qualche amico e poi ti perdi ricevendo al massimo qualche messaggio su WhatsApp una volta ogni 3 mesi. Albanese no. Antonio telefona tutte le settimane e ti chiede : “Come stai?”.
E lei si stupisce?
Nel mio ambiente non capita mai. “Carlo come stai?” è una domanda rara. È la domanda di un amico. Se guardo le mail o i messaggi sul telefono mi accorgo che le persone che mi cercano, mi inseguono sempre per chiedermi qualcosa. “Mi faresti un favore?”, “Ti rubo solo un’ora”, “Perché non passi all’inaugurazione?”, “Fai una foto con la creatura?”.
E lei?
Per anni ho detto solo sì. Ora, anche se qualcuno si offende, mi devo dare una regolata. Non ho il dono dell’ubiquità e non ho più trent’anni.
Ne ha 65.
E come Toni Servillo ne La grande bellezza non posso più perdere tempo a fare cose che non ho voglia di fare.
Duettare con Albanese non era tra quelle.
Ho fatto talmente tanti assoli nella mia carriera che ormai sento l’esigenza di confrontarmi con gli altri. Se il film ha una sua coralità mi diverto e posso sviluppare una regia più elaborata.
Albanese era l’unico attore italiano con cui mi interessava lavorare e devo dire, limitandomi ai maschi e nonostante sia diversissimo da me, anche il migliore. Abbiamo trovato l’alchimia giusta, ci siamo lasciati spazio a vicenda, nessuno ha sovrastato l’altro. Antonio ha un grandissimo senso della misura e lo si nota soprattutto nei film non comici. In Questioni di cuore di Francesca Archibugi o ne L’intrepido di Gianni Amelio è bravissimo.
Nel film di Archibugi lei indossava il camice.
Poche pose. Interpretavo me stesso e con le mie note competenze mediche andavo a trovare Albanese reduce da infarto in ospedale: “Te l’hanno fatta l’angioplastica primaria? Stai sotto doppia antiaggregazione piastrinica? Aspirina più Plavix?
Lo devi fà per un anno altrimenti te ne vai al creatore, lo sai?”. Alla fine gli pongo la domanda chiave: “Chi ti ha operato?”. Lui dice un nome, io alzo gli occhi al cielo, ad Antonio prende un colpo. Faceva ridere.
E sul set di L’abbiamo fatta grossa vi siete divertiti?
Abbiamo rischiato di morire.
Di morire?
Dovevo guidare a tutta velocità su un piazzale e poi frenare all’improvviso. Ma sul vecchio Bedford, il furgone che nel film uso per le intercettazioni ambientali, freno, frizione e acceleratore sono vicinissimi. Avevo le scarpe grosse e non riuscivo a trovare il pedale giusto.
Antonio si raccomanda: “Guida con attenzione”, “Tranquillo” gli rispondo, ma intanto il furgone invece di fermarsi prende velocità. Ci siamo fermati per miracolo a un centimetro dal muro. Albanese aveva il freno a mano tra le dita. Si era staccato. È sceso sconvolto e ha dovuto appoggiarsi a un albero.
ATTRICE BIANCO ROSSO VERDONE CHE DISSE NO A FALCAO
Cosa le ha detto?
“Vaffanculo” diceva. “Così ci ammazziamo e mi si alza la pressione”. Sò stato maldestro un altro paio di volte. Finiamo in un solarium ad asciugare alcune banconote sulle lampade, le disponiamo come se stessimo per fare una grigliata di denaro e nell’alzarmi di colpo do una testata a un macchinario. Una capocciata assurda. Sento solo “Oddio, oddio, stop”. Poi sono svenuto per qualche secondo. Mi hanno dovuto rianimare a schiaffi. Il rumore che c’è nel film è l’originale.
Personaggi: Lei investiga per conto di Albanese. Lui teme e soffre il tradimento dell’ex moglie.
Ha ragione lei. Lui è un mediocre che ha rotto i coglioni a tutte le attrici incontrate nel percorso. Lei ha le palle piene di messaggi, storielle clandestine e penosi sotterfugi e si stufa. A quel punto, da perfetto italiano pavido e abbandonato, è vittima di attacchi di panico. Perde la memoria sul palco, manda fuori tempo e mette in imbarazzo tutti gli altri attori. Quelli lo processano. Lo mandano affanculo. Lo prendono a calci.
carlo verdone antonio albanese l abbiamo fatta grossa
Che commedia è L’abbiamo fatta grossa?
Una commedia rocambolesca in cui alla realtà si affianca un tono favolistico. Ci siamo presi la libertà di andare all’avventura, in fuga, ad esplorare situazioni fantasiose che non avevo mai sperimentato. Per una volta, ho lasciato le famiglie, i figli, i padri e la critica sociale ai margini. La recupero nel finale del film, con una frase. Ed è solo allora che la commedia riporta ai personaggi e alle cronache degli ultimi giorni.
Ha detto ad Arianna Finos che Albanese ha una comicità iperreale e surreale. Non era surreale anche il Pasquale Ametrano di Bianco, Rosso e Verdone che raggiungeva Matera in Alfasud?
Diventa surreale perché Pasquale è muto e parla solo alla fine, nel seggio elettorale, quando manda a fare in culo tutti. La mia comicità va sul dettaglio, lo ingrandisce, lo rende iperreale.
Lei lo faceva anche nei suoi primi cortometraggi. In Allegoria di primavera, attraverso i dettagli di un bosco osservato nell’arco di un anno, lei racconta il susseguirsi delle stagioni.
carlo verdone antonio albanese l abbiamo fatta grossa
Era uno dei miei primi tre cortometraggi. Li avevo prestati alla Rai. Vennero persi. Non li vedrà mai nessuno o forse sì, ma solo quando sarò morto. Il maledetto che li ha fatti sparire li tirerà fuori e allora sì che ci divertiremo.
Perché?
Si chiederanno come mai uno con una visione così oscura, psichedelica, avanguardista e sperimentale abbia poi deciso di fare il comico. L’anima vera, la mia vera anima sta lì. In quei piccoli film.
La premiarono a Tokyo.
In Giappone non andai. La pergamena però è ancora in qualche scatolone.
I suoi primi film furono prodotti da Sergio Leone.
Leone era convinto che Bianco, Rosso e Verdone sarebbe stato un insuccesso clamoroso: “Furio è un personaggio sbagliato” diceva. “La gente lo rifiuterà”. O anche: “Quando lo sento parlare mi viene voglia di spezzare una penna”. Organizzò una proiezione privata con Sordi, Monica Vitti e Paulo Roberto Falcao.
carlo verdone antonio albanese l abbiamo fatta grossa
Sordi si complimentò, Vitti annuì, Leone si tranquillizzò, Falcao che del film non aveva capito niente aguzzò la vista e ottimizzò: “Come si chiama la figlia della coppia russa all’Autogrill? È italiana?”. Era la figlia di Giorgio Arlorio, lo sceneggiatore.
Con il padre e con la madre, la giovane ‘russa’ incontrava lei e la Sora Lella al ristorante.
Lella divora polpette nonostante il colesterolo, facciamo amicizia, ci scambiamo i numeri di telefono. Quello della giovane Arlorio però Falcao non lo ebbe mai. Chiamai la ragazza, mi scusai: “Senti, magari Falcao tu non sai neanche chi sia”. “Infatti”. È un grande calciatore, ti ha vista e mi ha chiesto il tuo numero di telefono. Posso darglielo?”. “Non glielo dare mai, non voglio avere niente a che fare con i calciatori”.
Dopo Leone, con il suo terzo film, Borotalco, vennero i Cecchi Gori.
Mi facevano fare quello che volevo, magari come le dicevo prima, si mostravano scettici, ma non ti fermavano mai. Avevo carta bianca. Con Aurelio De Laurentiis non è così.
E com’è?
carlo verdone antonio albanese l abbiamo fatta grossa
Ci sono 50 riunioni, mille dubbi, dobbiamo essere reciprocamente convinti. E persuaderlo della bontà dell’idea è compito mio. Non dico che Aurelio abbia torto. Dico che è un produttore differente. L’incontro con lui è un’istruttoria e tu ti devi difendere come farebbe un avvocato.
È faticoso?
Molto. È il mio produttore ed è un bravo produttore. Io lo rispetto, lui deve rispettare me. Ho quarant’anni di carriera, non sono l’ultimo arrivato.
Il rispetto c’è?
Il rispetto c’è, ma la fiducia devi conquistartela.
Decine di premi, decine di miliardi incassati. Li ha mai contati?
Mai. L’ha fatto al mio posto un amico di Bologna. Sono tanti. Sono stato un bravo imprenditore, ho reso ricco tanti produttori. Borotalco, nel 1982, incassò 4 miliardi e mezzo.
E se invece fosse andata male? Se l’avessero dimenticata in fretta?
Avrei sofferto molto. Sentivo di avere un potenziale e volevo arrivare prima o poi a fare il mio film. Un film in cui l’amarezza era superiore alla comicità e la comicità si mostrava cattiva, cinica, amara, senza consolazione. Non è stato facile. Ci è voluto tempo. Ho iniziato a toccare corde più dolci con Io e mia sorella, un passo importante e poi quando mi sono sentito sicuro e forte ho tentato l’affondo.
Compagni di scuola?
Con quel film confusi la critica. Non riuscirono a capire se fossi un attore comico o un autore.
carlo verdone antonio albanese l abbiamo fatta grossa
Ci hanno messo troppo tempo?
Il tempo è galantuomo. Ma all’epoca di Compagni di scuola, il cambio di registro fu traumatico. Nella mia segreteria, decine di messaggi tutti uguali: “Carlo, ma sei depresso?”, “Carlo, ma cosa è successo?”, “Carlo, sei infelice?”. Non c’era una sola persona che dicesse: “Mi sono divertito”.
Non erano certo film “da due stelle e mezzo” come ha detto.
No, ma erano film diversi dai precedenti. Sui social gli appassionati postano ogni giorno frammenti degli anni ‘80. Li capisco. Ma quei film sono irripetibili.
Chi l’ha seguita negli anni ha capito la trasformazione?
Hanno dovuto capire che c’è un tempo per tutto e che il rischio del patetismo era dietro l’angolo. La tua maschera cambia e tu devi sforzarti di rischiare, inventare, non fare sempre lo stesso film. Non puoi affezionarti ai personaggi e alle macchiette, neanche a quelle che ti hanno fatto ridere fino alle lacrime. Oggi ci sono altre cose. Una recitazione più raffinata. Qualche anno in più.
L’amministrazione di se stessi è importante?
Fondamentale. Da attore devi fare i conti con quello che sei e con la realtà che ti cambia intorno. Sordi- guai chi me lo tocca- è stato un rivoluzionario assoluto. Però alla fine, nella parte conclusiva di una carriera straordinaria, ha smarrito il contatto con la realtà. La frequentava poco e quindi era rimasto ancorato a cose un po’ vecchiotte. Raccontava atmosfere che non esistevano più.
Ha mai avuto un momento di crisi?
Quando uscì C’era un cinese in Coma, nel 2000, avvertii che il pubblico si era un po’ stancato di me. Avevo fatto una commedia troppo amara, ancora più crepuscolare di Compagni di scuola. Mi dissi: “Qual è il modo migliore di non perdere un’altra battaglia?”. “Non partecipare alla battaglia”. Mi presi due anni per me, per girare il mondo con i figli, per godermeli, per riconquistarli.
Viaggi lunghi?
Medio Oriente, America, Nord Europa. Tornai con L’amore è eterno finché dura. Sereno: “Tu hai talento- mi dicevo-il talento non può sparire da un momento all’altro”. Poi grazie a dio non vivo di solo cinema. Ho le mie passioni. La musica, la scrittura, l’orto da coltivare, la fotografia. Fotografo cieli e nuvole tutti i giorni dalla stessa identica angolazione e ogni scatto è diversa dall’altro.
gennaro nunziante checco zalone
Un film con Zalone lo farebbe?
Va talmente forte. Lui non ha bisogno di me. Che ci fa con me? Comunque se domani si presenta con un’idea, perché no? Zalone dovrebbe quotarsi in borsa. Comprerei subito delle azioni. Se 7 milioni di persone corrono al cinema, una novità evidente c’è. Mi fanno ridere quelli che consigliano. Adesso bisognerebbe tacere, che gli vuoi consigliare?
Le è piaciuto Quo Vado?
Ho portato 8 persone a vederlo e mi sono divertito. Se avessi avuto il numero di Zalone lo avrei chiamato. È intelligente e anche molto umile.
Durerà?
Dipenderà da lui, glielo auguro. A un certo punto il talento conta meno delle scelte. Dovrà rischiare, essere diretto da altri registi, provare a stordire il pubblico. È un attore completo. Può riuscirci. Se l’ha fatto Sordi perché non può farlo Zalone?
Qualcuno l’ha messa in polemica con lui.
Una cosa inesistente. Mi sono permesso di dire una cosa semplice, magari contestabile, ma elementare: “Se il tuo film è un trionfo, va in 1.200 cinema e occupa il 60% delle sale, perché non lasciarne 200 agli altri che provano a difendersi?” D’altra parte è pur vero che con gli incassi di Zalone alcune sale hanno respirato e Quo Vado? ha messo una grossa pezza su tanti conti in rosso.
Quindi?
Viva Zalone e questa ridicola pseudo polemica, per favore, chiudiamola qui.
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