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A ROMA NON ESISTONO DESTRA E SINISTRA: ESISTE SOLO IL CENTROTAVOLA - DAL "PATTO DELLE VONGOLE" TRA D’ALEMA E ROCCO BUTTIGLIONE AL "PATTO DELL’ARANCINO" DI BERLUSCONI E SALVINI: DA SEMPRE I POLITICI SI ATTOVAGLIANO PER SIGLARE PATTI O SFASCIARE COALIZIONI - L'ULTIMA OCCASIONE È STATA L'APERICENA TRA LA MELONI, SALVINI, TAJANI E LUPI: LA DUCETTA HA OSPITATO GLI ALLEATI A CASA SUA DOVE HA SERVITO TORTE, TÈ, PIZZETTE E SPRITZ - PRESENTE ANCHE GIORGETTI IN ESTASI PER MILEI ("C'HA LE PALLE") MA FERMATO DALLA STATISTA DELLA GARBATELLA: "A GIANCA’ STAMO A ROMA, MICA ALLA CASA ROSADA"

Estratto dell'articolo di Francesco Verderami per “Sette – Corriere della Sera”

 

MASSIMO D'ALEMA ROCCO BUTTIGLIONE

I patti si siglano spesso davanti ai piatti. Perché il cibo aiuta a superare le formalità e a creare un clima complice. Che serve quando in una discussione affiorano contrasti. Insomma, a tavola gli accordi vengono meglio. Anche se il patto, come il piatto, potrebbe in certi casi rivelarsi indigesto. Nella storia politica, infatti, molte volte la pietanza è andata di traverso ai commensali. Ma nonostante questo il rito si rinnova. E il patto, immancabilmente, prende il nome del piatto.

 

Giusto per rimanere alle vicende degli ultimi trent’anni, tutto ebbe inizio il 13 luglio del 1994 con il “patto delle vongole” tra Massimo D’Alema e Rocco Buttiglione, che si trovarono a Gallipoli in un locale vista mare per preparare la crisi del primo governo guidato da Silvio Berlusconi. Erano gli albori della Seconda Repubblica e quel piatto di spaghetti fu solo l’antipasto del “patto delle sardine”, che venne celebrato insieme a Umberto Bossi il 22 dicembre del 1994.

 

UMBERTO BOSSI MANGIA LA PAJATA

Quando i due cospiratori entrarono nella casa romana del Senatùr, nel frigo del segretario della Lega scorsero solo scatolame e pan carrè. Tanto bastò per scambiarsi gli auguri di Natale e mettere a punto il “ribaltone”, sotto l’alto patrocinio di Oscar Luigi Scalfaro. Dal canto suo, il presidente della Repubblica aveva tentato in estate il “patto del brodino” con il cardinale Camillo Ruini, così da coinvolgere anche la Chiesa nell’operazione. (Quando si dice gli arbitri). Ma durante il pranzo organizzato al Quirinale il capo della Cei respinse la richiesta e nel gelo della conversazione la pietanza si raffreddò.

 

Del patto tra Bossi, Buttiglione e D’Alema si seppe solo dopo, perché certi piatti vanno consumati nella riservatezza per evitare il “piattino” di chi non è stato invitato. Sarà anche per questo che tre anni dopo il cibo di una famosa cena sarebbe andato a male. La colpa fu dei giornalisti che la sera del 18 giugno 1997 seguirono le tracce dei politici del tempo e li videro infilarsi a casa di Gianni Letta: prima arrivò Berlusconi; poi D’Alema accompagnato da Cesare Salvi; poi ancora Gianfranco Fini con Pinuccio Tatarella e Domenico Nania; e infine Franco Marini con Sergio Mattarella al seguito. L’appuntamento serviva per evitare il fallimento della Bicamerale e trovare un’intesa sulla riforma della Costituzione.

 

GIANNI LETTA E OSCAR LUIGI SCALFARO

Dell’incontro c’è un dettagliato resoconto. A verbale risultano le imprecazioni di D’Alema, nel momento in cui si rese conto di essere stato scoperto, e un duetto tra Marini e Tatarella. Il primo si volse sconfortato verso gli altri leader: «Lo sapevo. Finché siamo stati solo noi quattro, come l’altra volta, non si è saputo nulla. Appena abbiamo allargato la lista è saltata la riservatezza».

 

Il secondo provò a consolarlo: «Non esiste cosa riservata se a saperla c’è più di una persona». La cena passerà alla storia come il “patto della crostata”, anche se anni dopo Salvi disse che “per dessert c’era il budino”. A casa Letta sono passati in molti per cercare di stringere intese con il Cavaliere: tra questi anche il segretario del Pd Walter Veltroni.

 

Antonio Marini e Franco Frattini

Un anno dopo il “patto della crostata” (o del budino) fu attorno a un piatto di pesce che si ritrovarono il braccio destro di Romano Prodi, Arturo Parisi, e il braccio sinistro di Armando Cossutta, Oliviero Diliberto. Era il 15 agosto del 1998, il governo dell’Ulivo vacillava sotto i colpi del leader di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti, e così il sottosegretario alla presidenza del Consiglio invitò il capogruppo di Rc a pranzo. Essendo sardi, i due si videro a Cagliari, a casa del fratello di Parisi, per concordare la scissione del partito di Diliberto ed evitare la crisi di governo. Per anni quel colloquio rimase riservato, ma non per questo l’operazione andò a buon fine, perché il 9 ottobre Prodi cadde per un voto.

 

romano prodi fausto bertinotti

Da allora molti piatti furono serviti per patti di minore importanza. Alcuni ebbero una rilevanza mediatica superiore alla loro valenza politica. Ma ormai l’abitudine di definire un accordo accostandolo a una pietanza era diventata una moda, anche se i cibi erano roba da fast food come le intese: si consumavano in fretta e non avevano gusto. Era in atto una mutazione genetica del patto. Al punto che gli incontri riservati diventarono happening. Come quello dei “saggi” della Casa delle Libertà, che nell’agosto del 2003 trascorsero quattro giorni a Lorenzago. Lì, il leghista Roberto Calderoli, il forzista Andrea Pastore, il finiano Nania e il centrista Francesco D’Onofrio, smontarono e rimontarono più volte la Costituzione «tra pantagrueliche abbuffate e allegre scaraffate», come scrisse Gian Antonio Stella sul Corriere.

bertinotti diliberto

 

Più che un convivio tra costituenti fu un’indimenticabile Woodstock. Perché in quel paesino del Cadore dove tutti si chiamano Tremonti, quello vero – cioè Giulio – ospitò sedute dottrinali intervallate da sfide di resistenza alcolica e sessioni musicali. A notte fonda ci si poteva imbattere persino nelle esibizioni di Bossi al pianoforte dell’Albergo Trieste. Anche se poi la riforma chiamata Devolution fece una stecca al referendum e venne bocciata.

 

GIORGIA MELONI MANGIA I PEPERONI

In ogni caso l’evento di Lorenzago aveva fatto scuola. I politici abbandonarono la riservatezza e si diedero a vere e proprie esibizioni folkloristiche aperte al pubblico. Avvenne con il “patto della pajata”, che nel 2010 sancì la pace tra destra e Lega, con tanto di degustazione in piazza Montecitorio del tipico piatto romano. E avvenne anche con il “patto del tortellino”, organizzato nell’estate del 2014 dall’allora segretario del Pd Matteo Renzi, che fece quasi prendere un coccolone ai leader socialisti europei – suoi ospiti alla Festa dell’Unità – costretti a mangiare il brodo sotto l’afa padana. Molto più glamour e fastoso era stato il pranzo stellato chez D’Alema, che il 21 novembre del 1999 aveva raccolto a Firenze «i riformisti del XXI secolo»: Bill Clinton, Tony Blair, Gerard Schroeder, Lionel Jospin, e ovviamente «Max»...

TITANIC D'ITALIA - VIGNETTA BY MACONDO

 

Bisognerà attendere l’autunno del 2017 per assistere alla prima di Giorgia Meloni, che a Catania siglerà il “patto dell’arancino” con Berlusconi e Matteo Salvini. Ora che è premier, tocca a lei la lista degli inviti. E settimane fa ha ricevuto nella sua abitazione gli alleati per il “patto dell’apericena”, servendo torte e tè, pizzette e spritz. Meloni, Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi devono aver fatto però indigestione, se pochi giorni dopo il governo è “incespicato” alla Camera.

 

Ma quella sera si sono divertiti. La premier era appena tornata da Buenos Aires, dove aveva incontrato Javier Milei insieme a Giancarlo Giorgetti. Pare che il ministro italiano si sia politicamente innamorato del presidente argentino. Tanto che durante l’apericena ha parlato solo di lui: «Milei c’ha le palle», «Milei sa come fare», «Milei sì che taglia la spesa». Finché Meloni è scoppiata in una fragorosa risata: «A Gianca’, stamo a Roma mica a Casa Rosada». [...]

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