DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1. LA LEGA SEDOTTA DALL’IMPERO DI PUTIN
Francesco Merlo per “la Repubblica”
I rubli di Mosca, che furono l’oro dei comunisti, adesso vanno ai “fascisti”: 9 milioni di euro a Marine Le Pen. «La invidio profondamente» ha detto ieri Salvini a Minoli a Radio 24.
E «Putin è il nostro leader» mi conferma ora Lorenzo Fontana che portò Salvini in Russia e ha fatto da ponte tra lui e Marine Le Pen, che il finanziamento della First Czech Russian Bank ha trasformato in una cassaforte della Destra europea.
Nel giugno scorso Fontana era in Austria a rappresentare gli italiani della Lega «al “congresso di Vienna” degli Identitari». Fu lì che questa stramba Internazionale Nazionalista proclamò Putin «leader della Restaurazione dell’Ancien Régime». L’aquila bicipite dunque, ma sullo sfondo tricolore: l’Imperium russo «che rispetta le identità e le differenze» contro il Dominium americano «che le cancella perché le omologa».
A Vienna, racconta Fontana con accenti epici, «c’erano gli austriaci, gli ungheresi, i bulgari, i francesi, gli olandesi e tanti russi ovviamente a capotavola: Komov, Zubarev, Serghej Neverov…» .
salvini e fontana all europarlamento con la maglietta anti sanzioni alla russia
Alle orecchie di chi ha vissuto gli anni dell’hotel Lux questi nomi suonano come un vilipendio della Storia, la parodia della tragedia del Novecento: «Capisco la suggestione che fa ridere pure me e farebbe inorridire mio padre se fosse ancora in vita. E però la Russia di Putin non sarà la Grande Madre, ma è la sola potenza che si oppone alla mondializzazione, alla sparizione delle patrie, allo strapotere degli Stati Uniti» e, aggiungo io, ai valori liberali e democratici. «E le sembra democratica l’Europa delle multinazionali e della finanza?».
Raccontandomi come sta organizzando gli incontri tra imprenditori italiani e russi, Fontana mi spiega adesso la base economica dei nuovi successi della Lega e su questo punto è convincente: «Valutiamo un miliardo il costo di questo scellerato embargo. È il primo embargo della storia che colpisce più i Paesi che pongono il divieto di vendere merci e meno il Paese che non può più acquistarle.
È davvero incalcolabile il danno arrecato ai produttori italiani di ortofrutta, dai pomodori di Pachino alle mele del Trentino. I russi si arrangiano perché comprano dalla Turchia e dalla Polonia. Ma le nostre merci ingombrano il mercato europeo e fanno per giunta abbassare i prezzi. Pensi alla fatica che avevamo fatto per espandere il mercato del grana padano. E così per le scarpe marchigiane, e per i mobili della Lombardia…».
A 34 anni, Fontana, capogruppo a Bruxelles, una laurea in Scienze politiche e a quattro materie da un’altra laurea in Storia («sto studiando Teodosio e i bizantini e mi sembra che siamo ancora fermi lì») non è solo il Kissinger di Salvini, è anche l’amico consigliere che l’ha convinto a traghettare la Lega dalla secessione alla nazione, dalla Padania all’Italia: «Per due anni abbiamo abitato insieme in Rue Wiertz, a due passi dal Parlamento.
È lì che abbiamo cominciato a passeggiare e a parlare delle identità perdute delle città del mondo. In quelle nostre serate per le strade di Bruxelles e poi a casa invece di dormire è nata la battaglia contro la globalizzazione e l’egemonia americana, l’idea forte che non è più tempo di destra contro sinistra ma che il nuovo antagonismo è tra Identità e Omologazione, tra Patria e Mondo».
marine le pen con dmitry rogozin vice primo ministro russo
Fontana rievoca questa scapigliatura postbossiana di Bruxelles dove, dice, «qualche minaccia l’abbiamo pure ricevuta e neppure tanto velata». Ma non è solo comicità immaginare Salvini e Fontana viandanti trasgressivi e maltrattati sulla Grande Place, Dennis Hopper e Peter Fonda in un Easy Rider al contrario, razzisti sì ma figli del pensiero peripatetico che sempre ha animato la civiltà occidentale e sempre ha comportato rischi fisici oltre agli azzardi intellettuali che qui arrivano a uno strambo fascismo russo-franco-padano. Fontana ammette che i nazionalisti d’Europa sono tutti di destra. E alcuni sono fascisti, gli dico: «È vero, ma non importa, perché è lo schema che non funziona più».
marin le pen a colloquio con i politici russi
E torna a parlare di Vienna come mito di fondazione, racconta di quel Congresso «dove tra i russi c’erano professori universitari, studiosi di religione, poeti, scrittori… ». La Russia che descrive è allo stesso tempo Atene e Sparta, l’aquila zarista dell’ordine e della disciplina, perché «anche noi della Lega siamo un po’ machi », e l’Umanesimo di Guerra e Pace, il Cristianesimo di Tolstoj con il crocifisso sul letto.
Vorrebbe imparare anche la lingua di Putin: «Parlo inglese e spagnolo, capisco il francese, sto studiando il tedesco, ma vorrei dominarle tutte, anche il cinese, l’arabo e il russo che è la lingua più bella e più antica d’Europa». Con Salvini ha in progetto di fondare le scuole della Lega, anche di lingua russa, di politica, di filosofia: «Il nostro modello è quello delle Frattocchie » , che è il lavoro politico, «la coscienza di popolo al posto della coscienza di classe, le cellule, le sedi sempre aperte, il controllo del territorio ».
È un misto fritto di fascio e di Pci, di vecchia Lega e di ruralità antiglobal alla Bové. Fontana e Salvini sabato prossimo andranno a Lione al congresso del Front National. A Bruxelles non abitano più insieme «perché io mi sono sposato». Con chi? «È italiana, una funzionaria del Parlamento. Si chiama Emilia, un nome che ci ha portato fortuna elettorale. È intelligente e fa pure bene da mangiare, come sa Matteo. Non si occupa di politica, ma adesso che la Lega Nord diventa Lega dei popoli e sbarca a Napoli, che è la sua città, magari voterà per noi, chissà».
lorenzo fontana, marine le pen, matteo salvini, max ferrari e gianluca savoini
La signora Emilia ha minacciato di buttare via «tutti quei libri che porto a casa». La cultura è il nuovo territorio della Lega: «Dobbiamo insegnare ai ragazzi che c’è un’altra Europa possibile». Quel Vecchio Continente che loro, i nazionalisti o sovranisti o identitari hanno rifatto a Vienna: «È giusto chiamarlo “Congresso di Vienna”. Lo abbiamo infatti organizzato nei giorni del bicentenario con lo scopo di ridisegnare la mappa dell’Eurasia, anche culturalmente. E Putin è leader anche perché la sua bandiera è quella dei valori tradizionali, la religione cristiana come civiltà, la famiglia, le patrie, il sangue, la terra madre…».
lorenzo fontana matteo salvini
Per ricordare che la Russia di Putin è il nuovo feroce imperialismo del XXI secolo evoco la Georgia, la Crimea, l’Ucraina di Donetsk, e ripropongo le frasi di Bossi «a favore della lotta dei popoli oppressi». Questa, per esempio: «I nostri fratelli ceceni hanno bisogno dei fucili padani». Già, «ma è capitato a Bossi di sbagliarsi».
E per dimostrarmi che «anche lui, come tutti i padri fondatori, è ormai un pozzo da cui tutti possono attingere qualunque cosa», mi contrappone al Bossi filo-ceceno quello filo-serbo che nel 1999 andò a Belgrado, come già aveva fatto Cossutta, a stringere la mano a Milosevic «che chiamava “il patriota”». E invece i profughi serbi e albanesi erano per lui «straccioni e scalzacani».
Fontana va ancora fiero di quel Bossi che fu solidale con uno dei più orrendi massacri della storia: «A parte il linguaggio, ero assolutamente d’accordo con lui». E «ora Putin sarà pure imperiale, ma lo è meno degli Usa e della Cina». E in questo nuovo delirio ci sarebbe pure quella differenza cui accennavo prima tra Dominium che «ci rende tutti uguali come sono le fotocopie» e Imperium «che si fonda invece sulla forza dei diversi» come sostengono quelli di “Génération Identitaire”, la lettera lambda per bandiera, fascistizzanti anche nei simboli, divise gialle, teste rasate, tolkieniani, il Sacro Graal, Excalibur, lotta greco romana e pugilato.
Hanno figliato a Padova. Erano uno dei vivai del Front National e ora lo sono pure della Lega: «Siamo la generazione abbandonata dai propri Dei. /Siamo la generazione in cerca della propria stella./Siamo la generazione che ha ritrovato la propria terra./ Siamo la generazione che ha puntato i piedi su di essa».
salvini maglietta pro putin pro russia
2. IL BANCOMAT DI PUTIN PER I NAZIONALISTI D’EUROPA - IN FILA ANCHE LA LEGA: OGNI AIUTO BEN ACCETTO
Ettore Livini e Nicola Lombardozzi per “la Repubblica”
Difficile che nel faccia a faccia di metà ottobre a Milano, e poi nella sua visita lampo a Mosca della settimana successiva, Matteo Salvini possa avere ottenuto molto di più che una forte comprensione e un potente riconoscimento internazionale. I 9 milioni di euro concessi alla Le Pen, attraverso una banca ceco-russa sono frutto di una ben più lunga intesa politica che risale addirittura al padre Jean-Marie.
E anche del fatto che Mosca ritiene la Francia assai più ostile dell’Italia dove, sotto sotto, nemmeno il governo in carica viene ritenuto visceralmente anti russo come “il perfido Hollande”. Ma la speranza che prima o poi aiuti in denaro possano arrivare in qualche modo da Mosca è rimane accesa nel clan di Salvini. Lui stesso conferma: «Noi facciamo un appello politico a tutto il mondo e ogni aiuto è ben accetto, anche perché abbiamo 70 dipendenti in cassa integrazione». Ma precisa: «Finora non è arrivato né un rublo né un euro. E non ci interessa chiederlo. Il nostro appoggio alla Russia è totalmente disinteressato».
Un po’ per amore del vecchio metodo sovietico, un po’ per ripicca contro gli Usa che starebbero facendo altrettanto, Putin ha deciso di sostenere, accreditare e perfino finanziare una lista di partiti che in qualche modo possano creare problemi ai cosiddetti “governi ostili” e scompiglio nelle politiche dell’Unione europea.
Come? Il canale bancario — come è successo con la Le Pen — resta in teoria la strada più semplice e trasparente. La moral suasion del Cremlino, nel settore, è altissima. Cinque istituti di credito sono finiti nella lista delle sanzioni Ue e Usa. Tra di loro la Rossiya Bank di Yuri Kovalchuk e Nikolaj Shamalov (membri della Ozara Dacha, la cooperativa degli anni ‘90 da cui sono usciti i padroni della nuova Russia, Putin compreso) etichettata dalla Ue come «la banca personale dei vertici della repubblica russa».
Esistono poi altri canali di finanziamento più tortuosi ma molto più efficaci per occultare i mandanti: il rapporto 2007 messo a punto dalla Cia sul tesoro nascosto di Putin — mai reso noto — descriveva secondo fonti d’intelligence Usa complesse triangolazioni nel mondo del trading energetico su petrolio e gas che coinvolgevano molti uomini dell’entourage del presidente. Una girandola di intermediari che dai giacimenti siberiani fino ai consumi finali faceva salire i prezzi della materia prima.
Lasciando strada facendo piccole fortune nelle mani di chi (anche politici stranieri, dice il tam-tam a Washington) garantiva il suo appoggio alla linea di Mosca. Oggi, spiega un recentissimo rapporto di Political Capital Research — un thinktank ungherese che già nel 2009 raccontava dei rapporti tra Putin e l’estrema destra europea — il “soccorso rosso” a Le Pen & C. arriva anche in forme più immateriali: assistenza tecnica nell’organizzazione di manifestazioni, aiuti professionali con personale specializzato, accesso ai network media e internazionali sfruttando le liaison del Cremlino. Partite di giro che si chiudono spesso attraverso Ong e associazioni di amicizia bilaterali sostenute dai rubli di Putin.
La lista dei possibili beneficiari, aggiornata quotidianamente dai consiglieri ultra-conservatori che hanno conquistato la leadership nell’ufficio del Presidente, vede la Lega ormai stabilmente ai primi posti dopo l’irraggiungibile Marine Le Pen. E insieme ad altri partiti e movimenti che sembrano formare una vera e propria “Internazionale Nera”.
Ci sono gli austriaci del Partito Popolare, i tedeschi di Afd e gli olandesi del Partito della Libertà, xenofobi e antieuro; i Tea party statunitensi, più a destra dei repubblicani; l’Ukip del pittoresco alleato di Beppe Grillo, Nigel Farage; gli antisemiti ungheresi di Jobbik; i “fratelli sla- vi” dei movimenti nazionalistici bulgari e serbi e polacchi; e in coda, per il momento, perfino i neonazisti dichiarati greci di Alba Dorata. «Una miscela letale che mira a far esplodere l’Unione europea dall’interno», dice Mitchell Orenstein, docente alla Boston University e collaboratore della rivista Foreign Affairs lanciando un allarme molto sentito negli Stati Uniti.
In Russia intanto, le fonti ufficiali tacciono. «Avete mai sentito un governo ammettere di finanziare partiti stranieri? Sarebbe assurdo ma lo fanno tutti e gli americani in questo sono maestri », dice una fonte assolutamente anonima degli uffici che contano. Ma come si può giustificare un appoggio anche solo morale a una lista così impresentabile? La chiave è semplice: tutti quanti, difendono quelli che il Cremlino ritiene «sacri valori della tradizione, della famiglia e della cristianità». Applaudono alla omofobia di Stato di Mosca, scimmiottano il nazionalismo di Putin nelle loro richieste punitive contro immigrati e stranieri.
L’anonimo del Cremlino spiega meglio: «Gli Stati Uniti finanziano rivoluzioni e colpi di Stato, usando sempre il vecchio slogan della Guerra Fredda dell’esportazione della democrazia. Lo hanno fatto palesemente in Ucraina dal 2004 al disastro di oggi. E nelle rivolte del Nord Africa. Perfino con i nostri oppositori di piazza, quelli che fino a due anni fa riempivano le piazze di Mosca con slogan anti-Putin preconfenzionati».
Non è poi così vero. Le proteste di piazza, che sembravano assolutamente spontanee, sono semmai state fatte fuori con leggi che hanno di fatto eliminato ogni forma di dissenso. E comunque non spiega il sostegno alle forze di destra sempre meno moderata. Ma al Cremlino nessuno si scandalizza: «L’Unione sovietica inviava gioielli e bonifici milionari ai partiti comunisti, ai rivoluzionari del Terzo Mondo, qualche volta anche ai terroristi, con il pretesto di diffondere la Rivoluzione proletaria. Adesso invece aiutiamo tutti coloro che ci aiutano a combattere questa ondata di immoralità dell’Occidente. E nella lista non ci sono terroristi ma partiti democraticamente eletti».
Parole che sono miele per Salvini e i suoi, e che invece non suonano molto piacevoli per l’italiano che più di ogni altro in questi vent’anni è stato considerato il vero grande amico di Putin. Gli ultimi anni di Berlusconi hanno però creato più di un imbarazzo al presidente russo. Prima le storie troppo indecenti di olgettine, lap-dance e del famoso lettone di Putin che, qui giurano, non è mai esistito.
Poi una debolezza sul piano euroscettico e un fatale declino politico che lo rende sempre meno utile per la causa. La botta finale è arrivata dalla posizione di Forza Italia a favore dei matrimoni gay che, non a caso, Salvini continua a sottolineare ad ogni occasione con studiato stupore.
Sorride il leader leghista e ne ha ragione. E spera in un messaggio di complimenti per la sua vittoria elettorale. Privilegio finora concesso solo alla bionda Marine. Nelle sue passeggiate moscovite mostrava con orgoglio una brutta maglietta con un Putin in mimetica e aggressive scritte in cirillico. Robaccia al confronto di quelle più raffinate che si possono trovare a soli dieci euro conoscendo i negozi giusti. Il suo trofeo feticistico sbiancherà alla prima lavata. Ma forse il futuro potrebbe portare qualcosa di più che una t-shirt.
3. PUTIN E LA REGINA DEL SABBA NO EURO
Da “Il Foglio”
La Regina del Sabba anti europeo ha un debito da nove milioni di euri con lo Zar delle Russie. E le coscienze infelici dell’occidente non si danno pace. In verità si tratta di un prestito elargito da una banca consanguinea a Vladimir Putin e diretto a Marine Le Pen, ducessa in carica di un Front national sempre considerato in ottima salute pre-elettorale, al punto che la figlia del vecchio e rottamato (da lei) Jean-Marie viene data (e tabuizzata) come concorrente-monstre nella prossima corsa per l’Eliseo.
Dividere l’Europa fra cattivi sempre più cattivi e buoni sempre più deboli e allarmati sembra essere il dernier cri del giornalista collettivo. Ma qualcosa di vero c’è, altrimenti il leghista tricolore Matteo Salvini non avrebbe confidato ieri, su Radio24, d’invidiare “profondamente” madame Le Pen: “Purtroppo io di quattrini ne vedo girare pochi. Qualsiasi contributo trasparente lo accetto volentieri”. Mancava soltanto la declamazione del codice Iban per rendere più materica l’opera di autopersuasione politica e finanziaria.
Secondo alcuni dossier di non innocente provenienza – il Foglio ne ha scritto, come altri, settimane fa – la gratitudine preventiva o consuntiva nei confronti di Putin sta diventando un refrain popolare fra i bivacchi di manipoli anti euro. Non sappiamo se l’oro di Mosca abbia ripreso a circolare come ai bei tempi della Guerra fredda, sia pure in scala infinitesimale e a beneficio di minoranze infeconde. Vero è che, nel mezzo della tempesta Ucraina e della frammentazione continentale, s’indovina un disegno strategico sulle rive della Moscova. Con la non banale differenza che stavolta Solidarnosc governa l’Europa e l’America non ha più quattrini da dissipare.
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