DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Francesco Bechis per www.formiche.net
Il caso Savoini e dei presunti fondi russi alla Lega promessi in una trattativa all’Hotel Metropol di Mosca lo scorso ottobre, ora finito al vaglio della procura di Milano, continua a far parlare di sé. La ricerca di un bandolo nella matassa porta a volte i media a semplificare i tratti della storia, riducendola a due soli protagonisti: il partito di Matteo Salvini e il governo russo di Vladimir Putin.
“Non è così semplice – spiega a Formiche.net Giovanni Savino, senior lecturer presso l’Istituto di scienze sociali dell’Accademia presidenziale russa dell’economia pubblica e del servizio pubblico a Mosca, dove insegna storia contemporanea e storia delle idee politiche. Chi, come lui, vive e insegna da anni nella capitale russa sa che da quelle parti non esiste una sola “torre” del potere. “La Lega ne ha scelta una, e non è detto che sia quella della residenza presidenziale”.
Professore, che si dice dell’affare Savoini in Russia?
Se ne parla pochissimo. C’è stata solo una dichiarazione del portavoce di Vladimir Putin Dmitry Peskov lo scorso 12 luglio che smentisce i finanziamenti da parte del governo.
È una versione credibile?
GIANLUCA SAVOINI - FRANCESCO VANNUCCI - ALEKSANDR DUGIN
Direi di sì. Da quanto è emerso non sembra un’iniziativa del Cremlino. Fra Italia e Russia esiste un’amicizia che va avanti da anni, a prescindere dalle singole forze politiche. Matteo Renzi, per fare un esempio, è stato il premier che ha fatto più affari con la Russia e Romano Prodi è ancora uno degli italiani più ascoltati.
Lei che idea si è fatto delle trattative al Metropol?
C’è stata grande ingenuità da parte di Savoini, Miranda e Vannucci, forse dettata da una certa presunzione. È curioso che per discutere un affare simile abbiano scelto il Metropol, uno degli hotel più osservati del Paese.
Dunque secondo lei il Cremlino non c’entra?
Putin è un politico estremamente accorto e pragmatico. Ha interesse a intrattenere relazioni ufficiali, non a scattare selfie in un corridoio o a stringere accordi sottobanco. Non credo che al momento al governo russo convenga destabilizzare Roma.
Perché?
L’Italia è sempre stata uno dei Paesi occidentali più dialoganti con l’Urss. Ma i russi si rendono benissimo conto che il Paese non uscirà né dall’Ue né dalla Nato.
Però c’è il tema delle sanzioni Ue, dove l’Italia può fare la differenza.
Vero, ma non sarà il governo gialloverde a farla. Renzi e Gentiloni hanno provato concretamente a costruire un’opposizione alle sanzioni Ue. Questo governo invece, a dispetto delle intenzioni iniziali, non ha proferito parola per bloccarle in seno al Consiglio europeo.
Matteo Salvini non è l’alleato ideale per Putin in Europa?
I fatti raccontano altro. Salvini in Europa si è alleato con i Paesi del gruppo di Visegrad e dell’Europa orientale. Alcuni di questi, come Polonia e Paesi baltici, fanno della russofobia una bandiera, per evidenti motivi storici.
VLADIMIR PUTIN E GIANLUCA SAVOINI
La special relationship fra via Bellerio e Mosca è certificata da un accordo di cooperazione siglato nel 2017 fra Lega e il partito di Putin Russia Unita.
A prescindere dall’accordo, questo desiderio della Lega di porsi come unica depositaria dell’amicizia con la Russia è un po’ ridicolo. In Occidente si pensa che in Russia il potere sia un monolite, ma non è così. Non esiste una sola “torre” del Cremlino, ce ne sono tante, ognuna delle quali ha una sua ricetta di politica domestica ed estera. La Lega ne ha scelta una, non necessariamente quella della residenza presidenziale.
La torre russa della Lega termina col nome di un giovane oligarca: Konstantin Malofeev.
Una personalità di spicco del mondo nazional-conservatore e ortodosso russo. È proprietario di una rete tv, Tsagrad, dove sia Savoini che Salvini sono stati ospiti. Finanzia da anni le realtà più oscurantiste in Russia e in Europa Orientale ed è stato accusato di aver supportato i separatisti nel Donbas. Igor Girkin, ex colonnello dell’Fsb che ha guidato i separatisti a Slovansk e Donesk, era il capo della sua sicurezza.
Cosa c’entra con la Lega e il Metropol?
Come ho detto, sia Salvini che Savoini sono stati ospiti delle sue strutture. È presto per tirare conclusioni sull’inchiesta. Sappiamo che una delle società citate nel caso Savoini ha la sede legale nello stesso palazzo che ospita le società di Malofeev. Non è da escludere che gli interlocutori italiani, per rivolgersi a grandi player come Gazprom e Rosneft, abbiano fatto ricorso a qualche contatto dell’oligarca russo.
L’attivismo di Malofeev piace al governo russo?
In Russia la musica non può essere suonata da troppa gente contemporaneamente. Questo tipo di gestione privatistica della diplomazia infastidisce il Cremlino, tanto più quando è guidata dall’ideologia e non dal realismo.
A proposito di ideologia, nelle carte dell’affaire Savoini spunta di continuo il nome di Alexandr Dugin, il filosofo che ha fondato negli anni ’90 il movimento per una nuova Eurasia. È davvero così influente in Russia?
Su Dugin sento storie a dir poco irrealistiche. È vero, ha un suo seguito, ma non è il consigliere di Putin né tantomeno è popolare in Russia, tanto che non appare da un pezzo in televisione. Nel 2014 ha perso la sua cattedra all’Università statale di Mosca per aver augurato un genocidio degli ucraini. Al Cremlino non piacciono queste personalità esuberanti.
Insomma, la Russia su cui ha scommesso la Lega non è quella vincente.
Non esiste più e forse non è mai esistita. Malofeev esalta la Russia zarista, dove il ruolo della donna era relegato ai margini della società, mentre Dugin rimescola visioni alla Julius Evola con suggestioni esoteriche e geopolitiche. Sono visioni antistoriche e che non rispondono alla complessità della società russa.
Malofeev invece avrà un ruolo nel dopo-Putin?
Credo che oligarchi come lui proveranno a fare la propria partita. Sono scettico sulla possibilità che conquistino il potere e soprattutto che riescano a mantenerlo. Insegno e vedo crescere le nuove generazioni, questa visione ultraconservatrice di cui sono depositari non ha grande presa.
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