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Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”
IL PADRE DI CECILE KYENGE CON LA FOTO DI CALDEROLI
A sera, la voce dell’eurodeputata dem Cécile Kyenge trema ancora di rabbia. «I parlamentari del Pd che hanno votato così dovranno risponderne alla propria coscienza. È una scelta grave, perché è un caso di razzismo». La vicenda, in sintesi: Roberto Calderoli insulta l’allora ministro del governo Letta, dandogli dell’«orango». Segue un esposto di alcune associazioni.
La Procura domanda al Senato: si tratta di frasi insindacabili o possiamo procedere? Ieri la decisione di palazzo Madama, quantomeno innovativa: si può procedere per diffamazione, non per l’aggravante di istigazione razziale. «Un precedente aberrante », si indigna il presidente della giunta per le immunità Dario Stefàno. Di certo c’è che il leghista è salvo, perché per la sola diffamazione servirebbe la querela della parlamentare (che non c’è). E il Pd? Anche per i dem la Procura non può procedere per istigazione al razzismo.
Che sentimento prova verso il Partito democratico?
«Amarezza, sicuramente. Non polemizzo, ma una domanda a quelli del mio partito che hanno votato così voglio rivolgerla: si sono interrogati sul serio sull’effetto che avrà questo voto, da domani? Con che coraggio potremo trasmettere il valore di custodi dei diritti ai giovani?».
Ha ricevuto una chiamata da Matteo Renzi?
«Ho ricevuto la solidarietà della delegazione del mio partito a Bruxelles ».
Pensa che il premier debba intervenire?
IL FOTOMONTAGGIO SU CECILE KYENGE PUBBLICATO DA FABIO RAINIERI DELLA LEGA
«La causa è talmente nobile che polemizzare svilirebbe la battaglia. È una questione che riguarda la coscienza individuale».
Glielo chiedo ancora più esplicitamente: senza un intervento forte da parte della segreteria lascerà il Pd?
«Le posso dire che dipende dai comportamenti che ci saranno nei prossimi giorni».
calderoli-kyenge-orango-vignetta
Insomma, andrà via senza una presa di posizione da parte di Renzi. Intanto c’è chi - tra questi i grillini - sospetta un ricatto di Calderoli al Pd, del tipo: “Salvatemi e non intralcerò più le riforme”. E Calderoli in effetti ha ritirato gli emendamenti. È andata davvero così?
«Questo punto riguarda la responsabilità personale di tutti i senatori. Non tocca a me indagare. Le dico però che quando si entra nelle istituzioni, si fa giuramento di adempiere in trasparenza ai propri compiti. E quindi chi trova scusanti dovrebbe domandarsi: sono davvero al mio posto?».
A chi si riferisce, Kyenge?
«A chi ha votato così. Se qualcuno ha considerato un’attenuante il fatto che Calderoli si sia scusato, forse ha sbagliato davvero posto».
Lei accettò le scuse di Calderoli. Non sarete certo amici, ma le chiedo: oggi l’ha chiamata?
STRETTA DI MANO TRA CALDEROLI E KYENGE
«Non credo che siamo amici. E comunque è importante distinguere i due piani: il mio perdono a Calderoli l’ho dato, ma non si tratta più di un fatto personale. Si tratta di una questione di principio. Mandiamo un messaggio devastante».
Perché non ha querelato Calderoli?
«Per questo reato (l’aggravante per istigazione all’odio razziale, ndr) si procede d’ufficio».
E invece per la diffamazione, ricorda Stefàno, non si potrà procedere, mancando la querela di Kyenge. Contattato, Calderoli non commenta: «Sono epifenomeni che non riguardano la politica, di cui si è parlato anche forse fin troppo». Nega però che esista uno scambio con il Pd sulle riforme: «Anzi, è il contrario. Ritirare gli emendamenti serviva a riaprire la partita in commissione. Nessun favore al Pd, insomma: non ne voglio e non ne accetto».
A Kyenge non resta che rivolgersi alla Corte europea. Risuoneranno ancora le frasi pronunciate da Calderoli nel luglio del 2013: «Ogni tanto, smanettando con internet, apro il sito del governo e quando vedo venire fuori la Kyenge io resto secco. Io sono anche un amante degli animali, per l’amore del cielo. Ho avuto le tigri, gli orsi, le scimmie e tutto il resto. Però quando vedo uscire delle sembianze di un orango, io resto ancora sconvolto».
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