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Marco Conti per “il Messaggero”
Tanto tuonò che non piovve. Alla fine il governo Conte esce rafforzato dall'ennesimo voto di fiducia. Ad incassare è stato soprattutto Matteo Salvini, che infatti si presenta in aula abbronzato, con aria molto soddisfatta, non attende il risultato finale e continua ad muoversi agitando la tanica di benzina con la quale intende appiccare il fuoco alla legislatura. Il problema, per il leader della Lega, sono i tempi che in politica sono tutto. Ieri non era il momento giusto e lo si è visto nei numeri.
CONTE SALVINI DI MAIO MOAVERO MATTARELLA
Rispetto ai 171 voti con i quali il governo ha iniziato a palazzo Madama la sua corsa, ne mancavano undici. Poca cosa, se si considerano le espulsioni. Ancora meno se si considerano che i no al decreto sono stati 57 e 21 gli astenuti. Anche sommando gli ultimi due numeri - impropriamente se si considera che al Senato l'astensione non è più voto contro - è facile constatare l'enorme margine che ha la maggioranza da sempre al riparo da trame e malpancisti.
LA CACCIA
Malgrado ciò, l'esponente della Lega continua a minacciare con toni sempre più forti la maggioranza e anche ieri ha ottenuto il risultato sperato. Immaginare però che alla fine il ministro dell'Interno possa essere in un qualche modo riconoscente con l'alleato, per essere riuscito ieri a non fare votare nessuno del Movimento contro il decreto sicurezza, è pura illusione. Il leader del Carroccio soffre da tempo la pressione dei suoi colonnelli ma soprattutto inizia a temere gli effetti che potrebbe avere la legge di Bilancio sulla narrazione leghista.
Mentre la caccia ai migranti e alle navi delle Ong langue, nei contatti avuti con i suoi ministri e negli incontri con le parti sociali (oggi un nuovo round), il leader della Lega ha avuto modo di comprendere con maggiore nettezza quanto sia complicato far quadrare le richieste con le poche risorse disponibili. Una strada in salita soprattutto se si considera che alcune misure, come il Reddito (8 miliardi) e gli 80 euro (10 miliardi), impegnano già molte risorse. Il Reddito per il M5S, non si tocca, mentre non basterà rimodulare gli 80 euro per sostenere di aver fatto la flat tax.
Nel ginepraio di richieste spicca il salario minimo chiesto dal M5S che, per contenere l'irritazione delle imprese, chiede anche una riduzione del cuneo fiscale per 4-5 miliardi. Sfilarsi dalla manovra non sarà però facile perché potrebbe far scattare le clausole di salvaguardia per 23 miliardi di Iva.
MOAVERO DI MAIO SALVINI CONTE MATTARELLA
Votare la manovra turandosi il naso, e magari scaricandola attribuendo la responsabilità al M5S, a Conte e all'Europa, può essere una soluzione che va incontro anche alle richieste del Quirinale di non mandare il Paese all'esercizio provvisorio. Ma in cambio Salvini potrebbe chiedere il ritorno a breve alle urne, a febbraio, malgrado ci sia da rendere operativa la riforma costituzionale che, con il voto del 9 settembre, taglierà i parlamentari. Al voto, quindi, con le stesse regolò per eleggere lo steso numero di parlamentari.
A gioire per il taglio lineare dei parlamentari, che viene effettuato senza nessun intento di migliorare il sistema istituzionale, sono di fatto solo i Cinquestelle. Nati e cresciuti con le retorica della casta, il M5S sembra poco preoccuparsi del nodo della rappresentanza e di alcune regioni che potrebbero risultare particolarmente penalizzate. A Salvini, malgrado guidi un partito in forte crescita e che potrebbe non avere problemi di posti in lista, la riforma piace molto poco.
Soprattutto perché limita la capacità espansiva del partito in zone del Paese dove ha appena iniziato il radicamento. Bocciare la riforma il 9 settembre non conviene però a nessuno. Tantomeno alla Lega che però può facilmente trovare più di un motivo per far saltare il tappo scambiando il varo della manovra con il voto anticipato a stretto giro di posta. Una strategia, quella della Lega, che potrebbe creare qualche frizione con il Capo dello Stato il quale anche di recente ha ribadito il suo ruolo da notaio, ma che non potrebbe non sollevare l'esigenza di dar corso ad una riforma, e magari ad un referendum, che anche la Lega ha votato.
Ma Salvini teme che l'insediamento di un governo elettorale - che potrebbe nascere dopo la caduta dell'esecutivo Conte - possa allungare molto la data delle elezioni. Rompere a settembre-ottobre, sull'autonomia o sulla riforma della giustizia, e tornare al voto con le vecchie regole e i gli attuali numeri in Parlamento, permette a Salvini di avere dalla sua parte il Pd. Il partito di Zingaretti, allergico al taglio lineare dei parlamentari al pari della Lega, ancor più difficilmente potrebbe darsi disponibile per sostenere un esecutivo di durata.
Il rischio che l'effetto della riforma costituzionale sia opposto a quello ipotizzato da Di Maio è reale. La legislatura, invece di stabilizzarsi, rischia di concludersi prima del previsto anche se poi toccherà alla prossima affrontare il problema. Magari con l'ennesimo tentativo di riforma costituzionale in grado di dare anche un po' più di efficienza e al sistema parlamentare.
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