giorgia meloni matteo salvini donald trump

“CI TUREREMO IL NASO” - LA LEGA VA VERSO IL SOSTEGNO AL DECRETO SULLE ARMI A KIEV – IL FILOPUTIN SALVINI CHIEDE DI INFILARE NEL DECRETO UN RIFERIMENTO AI NEGOZIATI DI PACE TRA "MAD VLAD" E TRUMP E DA PA-FAZZO CHIGI, IL SOTTOSEGRETARIO FAZZOLARI CONCEDE: “SE SERVIRÀ PARLARE DI PACE SI FARÀ” (CON TANTI SALUTI AL QUIRINALE DA CUI CALANO AVVERTIMENTI SULLA “PACE INSENSATA” DI CHI “PRETENDE DI IMPORRE LE PROPRIE CONDIZIONI MUOVENDO GUERRA”) - ORMAI ANCHE GIORGIA MELONI HA GETTATO LA MASCHERA E A ZELENSKY HA DETTO “DEVI FARE CONCESSIONI DOLOROSE”, ADOTTANDO LA LINEA DEL SUO IDOLO TRUMP - LUNEDI' MELONI VA A BERLINO CON GLI ALTRI LEADER UE...

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Francesco Malfetano per lastampa.it - Estratti

 

matteo salvini giorgia meloni foto lapresse

«Ci tureremo il naso». L’espressione filtra mentre il discorso di Sergio Mattarella agli ambasciatori sta ancora scorrendo sulle agenzie. È il segnale che Matteo Salvini, almeno per ora, ha completato una piccola conversione. Il decreto che rinnova il sostegno all’Ucraina — quello che la Lega giurava di non voler più votare — passerà anche grazie ai suoi. Così assicurano a via Bellerio. E così confermano dentro Fratelli d’Italia e Forza Italia, che da giorni osservano il Carroccio oscillare tra identità e governo.

 

Il confronto tra Giorgia Meloni e Salvini, andato avanti a più riprese nell’ultima settimana, è stato tutt’altro che formale. La premier ha messo sul tavolo una verità brutale: non esiste alternativa per l’esecutivo al «restare saldamente al fianco di Kiev», linea che ieri lo stesso Presidente della Repubblica ha rilanciato con la consueta nettezza. Di fronte a quella determinazione, Salvini ha dovuto piegarsi. Non prima, però, di giocarsi l’unica carta rimasta: marcare una differenza, piccola ma visibile. Chiede di infilare nel decreto un riferimento ai negoziati di pace. Non quelli di Kiev, né tanto meno quelli dell’Europa che lui descrive come governata da leader «dimezzati», ma quelli di Donald Trump e Vladimir Putin. Poco importa se dal Quirinale calano avvertimenti sulla «pace insensata» di chi «pretende di imporre le proprie condizioni muovendo guerra».

giorgia meloni donald trump

 

Quella leghista è una via mediana, quasi più psicologica che politica. E trova persino una sponda abbastanza inattesa. Giovanbattista Fazzolari, il sottosegretario che più di tutti traduce gli umori della premier, ieri ha fatto capire che un margine di manovra ci sarà: «Il decreto ci sarà e se bisogna parlare anche giustamente di lavorare per la pace si farà, perché è da sempre l'intenzione del governo». È l’indizio che Meloni è pronta a tollerare un minimo di dialettica pur di evitare una crisi improvvisa.

 

 

Ma nessuno, nel centrodestra, crede che i distinguo siano destinati a spegnersi. Salvini, che un anno fa prometteva di non votare più un decreto Ucraina, ora deve assorbire l’idea di un nuovo allineamento. E così, mentre il governo prova a ricomporsi dopo giorni convulsi — Forza Italia era arrivata a parlare di «guaio serio» — il leader leghista torna a puntare il mirino sulla sua ossessione: Bruxelles. Alla presentazione della statua di San Francesco a ponte dell’Industria, a Roma, ha scandito: «Conto che i miliardi dell’Europa più che sul riarmo vengano investiti sulle infrastrutture». Un messaggio graffiato, diretto alla propria base: sì al decreto, ma senza rinunciare alla battaglia identitaria.

SALVINI PUTIN

 

Il centrodestra, però, ha una necessità immediata: ritrovare almeno una tregua. E su quel fronte interviene Guido Crosetto, che da Atreju prova a chiudere il caso: «Tutti che mi parlano come se fossi lo psicologo di Salvini… In tre anni non ho mai avuto una discussione o un problema con Salvini. Lui manifesta giustamente le sue idee». È la versione ufficiale, che nasconde più di quel che dice ma serve a calmare le acque.

 

(...) Se da Berlino - dove lunedì sera si riuniranno con Zelensky un folto gruppo di leader europei, stavolta Meloni compresa - dovesse arrivare un nuovo segnale sulla pace, il Carroccio avrebbe nuove frecce al proprio arco. E la battaglia interna alla maggioranza, appena anestetizzata, potrebbe ripartire da capo. Perché il decreto è un passaggio obbligato. Il vero scontro, quello sull’identità e sulla linea internazionale del governo, è solo rimandato.

 

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