DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
Mario Ajello per “il Messaggero”
Un filo, sottile, sottilissimo, quasi irrimediabilmente sfrangiato. E' quello che non tiene più legati Salvini e Di Maio. «Sto offrendo qualsiasi tipo di soluzione, mi sbatto, cerco di rendere il più potabile possibile la presenza del partito berlusconiano a Di Maio, e lui che fa? Si impunta. Sempre così. Sembra che stiamo giocando al gioco dell' oca, e si riparte sempre dalla partenza».
Il leader leghista continuerà a parlarsi e a sentirsi con Di Maio, ma il momento magico è finito e non tornerà. Ha perso la pazienza Salvini. Anche con Berlusconi. Tra i due leader del centrodestra la tensione è altissima. Ognuno si sente tradito dall' altro. «Berlusconi mi aveva garantito che avrebbe accettato l' appoggio esterno al governo con i 5 stelle, e poi ha cambiato idea. Così non si fa».
casellati salvini berlusconi meloni
Parlando con i suoi, Salvini attacca anche la Casellati: «Ce l' ho con lei, perché quando i mediatori non fanno i mediatori, gli esploratori non fanno gli esploratori». Il sospetto è che la Casellati abbia spinto Berlusconi a recedere dall' intenzione di dare l' appoggio esterno.
«Mi hanno rotto le balle», è il suo sfogo, «io ho lavorato a fondo perché la Casellati tornasse da Mattarella con qualcosa di serio in mano. Invece ora si va con un cesto di frutta marcia. Temo che si vada su Fico e su Di Maio e che un pezzo di Pd entri nel governo con loro».
FIDARSI Se così fosse, stare all' opposizione e chiedere continuamente elezioni-elezioni-elezioni non è un' opzione affatto sgradita a Salvini. Ma la sua mossa, chissà se davvero convinta o fatta apposta per prendere tempo e rovinare le mosse degli altri, è questa: «Provo ad andare io al governo. E o la va o la spacca». Al governo, magari, con i 5 stelle e senza Forza Italia. Che dice di lui, proprio per bocca di Berlusconi: «Non mi fido di Salvini». E Salvini non si fida di Berlusconi, perché lo vede sempre attratto dalla sirena del Pd.
Il Cavaliere: «Salvini tira a fregarmi». Nel senso che Silvio aveva creduto che Salvini stesse chiudendo l' accordo con Di Maio comprensivo del Cavaliere, e invece no: «Mi ha venduto una cosa che non c' era». Speranzoso che ci fosse, Berlusconi non è neppure partito per il Molise: in attesa delle dichiarazioni aperturiste di Giggino, che invece si sono rivelate l' opposto. Ennesima porta chiusa in faccia all' ex premier.
Vuole andare a Palazzo Chigi sul serio Salvini, lui che non è mai sembrato smaniare? Ancora non smania, affatto. Ma una mossa così - dire che è disponibile a ricevere il preincarico - significa prendere altro tempo. Evitando che automaticamente ora si possa aprire, anche agli occhi di Mattarella, soltanto il forno M5S-Pd. Fa lo sparigliatore con la sua discesa in campo Matteo. E passa dal ruolo di regista al ruolo di giocatore d' attacco.
Ai suoi in Molise spiega: «Gli italiani si stanno stancando, vedono queste manfrine e dicono: questi non sanno fare niente. Io non posso sopportare questa immagine, anche perché sono quello che si è mosso più di tutti, ha mediato più di tutti, non ha mai avuto preconcetti né piantato capricci e paletti. E devo essere accomunato allo stallo? Lo voglio rompere questo stallo. Mettendoci la faccia personalmente».
I 5 stelle dicono che «lui ha cambiato le carte in tavola», lui dice che «le carte in tavola» le hanno cambiare loro. E adesso la strategia prendi-tempo di Matteo - e il tempo serve ad arrivare fino e oltre le elezioni friulane di fine mese, da cui è convinto di uscire come il grande vincitore sia su Di Maio a partire dal Molise sia su Berlusconi - consiste nel dirsi disponibile all' incarico e poi se mai lo avrà l' obiettivo è quello di, partendo dal 37 per cento della sua coalizione e dal dogma «mai con il Pd», andare in aula e vedere se si trovano voti aggiuntivi per l' esecutivo del centrodestra.
E' un modo per evitare che Forza Italia si faccia prendere dalla tentazione, molto forte secondo la dottrina Letta, di trovare intese con i dem; per allontanare lo spettro del governo tecnico o del presidente («Mai un governo alla Monti o con la Boschi dentro»); non lasciare insomma la palla agli altri e prenderla lui. Anche se lo schema è confuso.
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