DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
GIANCARLO GIORGETTI E MATTEO SALVINI
Monica Guerzoni per il "Corriere della Sera"
Così gelido e irritato, i ministri non lo avevano ancora mai visto. Mario Draghi non si aspettava lo strappo della Lega sul decreto Covid e ne ha subito colto la portata politica. «È un fatto grave», ha commentato il presidente del Consiglio a riunione ancora in corso. Durante l' ultima cabina di regia il capodelegazione Giancarlo Giorgetti aveva garantito il voto a favore del Carroccio e invece, per dirla con la sintesi di un ministro, «poi Salvini ha forzato e si sono astenuti».
Un partito di maggioranza che non vota un provvedimento chiave per la vita sociale ed economica del Paese è un passaggio che rischia di destabilizzare la maggioranza. Draghi non lo aveva messo nel conto, tanto che venerdì, nell' ultima conferenza stampa, aveva assicurato che lui non ha bisogno di lanciare appelli all' unità, perché in Consiglio dei ministri «c' è sintonia». In cinque giorni il clima è cambiato. L'sms con cui Salvini annunciava a Draghi che la Lega «non può votare questo decreto» perché «troppo punitivo» su ristoranti, palestre e piscine, non ha sortito gli effetti sperati.
GIANCARLO GIORGETTI E MATTEO SALVINI
Le tensioni tra i partiti e le divisioni all' interno della Lega si sono riversate sugli incontri di Palazzo Chigi. Se il Cdm è iniziato con un' ora di ritardo è perché Draghi si è chiuso in una pre-riunione con i capi delegazione Giorgetti, Gelmini, Franceschini, Speranza, Bonetti.
Mentre Salvini, da fuori, continuava ad alzare la voce, il premier provava a ritrovare quell'unanimità con cui la cabina di regia aveva approvato la bozza del decreto. «In questi giorni abbiamo visto tante richieste, anche di segno opposto - esordisce Draghi -.
Ci sono scienziati che ci rimproverano di aver aperto troppo e chi invece chi chiede di fare di più. Ma se abbiamo spiegato le riaperture come un rischio ragionato, non possiamo già rimettere tutto in discussione».
Dove il «tutto» in sostanza è l'orario del coprifuoco, che Lega, Forza Italia, Italia viva e governatori delle Regioni volevano spostare alle 23. Il premier si oppone con forza e chiede ai rappresentanti dei partiti di «riconfermare lo schema dell' accordo».
Giancarlo Giorgetti era pronto a votare il provvedimento. Ma al momento di entrare in Cdm, la delegazione leghista prende tempo e resta fuori dalla porta. È a quel punto che arriva la telefonata di Salvini, con l' ordine di scuderia di non dare il via libera a un testo che lui stesso aveva definito «di buon senso».
Il ministro dello Sviluppo non è d' accordo, eppure toccherà a lui portare la cattiva novella in Consiglio. Prima però Roberto Speranza illustra le misure del decreto e osserva che la curva del virus mostra segnali incoraggianti: «Con l'Rt a 0,85 possiamo dare un messaggio di ragionata fiducia».
Ma ecco che Giorgetti, tradendo un qualche imbarazzo, fa mettere a verbale il no della Lega: «Per ragioni che non sto a spiegare, non possiamo votare questo decreto». Faccia sconcertata del premier e del sottosegretario Roberto Garofoli. «Non possiamo raggiungere un accordo in cabina di regia e poi cambiare tutto per un ultimatum che arriva da fuori», commenta Franceschini. E Draghi, a dir poco seccato: «È un precedente grave, fatico a comprendere. Le decisioni su coprifuoco e ristoranti le avevamo prese insieme».
GIANCARLO GIORGETTI MATTEO SALVINI 1
A sera, dopo una girandola di telefonate incrociate, autorevoli fonti di governo sdrammatizzano con il chiaro intento di superare in fretta l' incidente. A Palazzo Chigi sperano che i dati epidemiologici migliorino in fretta e non si esclude di poter presto allentare le maglie dei divieti. Intanto nella maggioranza monta il timore che Salvini, tallonato da Giorgia Meloni che cresce nei sondaggi, mediti l' addio al governo, ma pubblicamente sia il segretario che Giorgetti frenano e assicurano che la Lega «non ha obiezioni sulla linea». Se pure ne avesse, Draghi tirerebbe dritto, convinto com' è che un governo non insegue le bandierine dei partiti, ma «agisce nell' interesse generale».
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