DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI…
1 - IL POPOLO HA MOLTO SPESSO TORTO
Un anno fa è scomparso Giovanni Sartori, il più grande politologo della sua generazione, accademico celebre in Italia quanto negli Stati Uniti, editorialista del Corriere della Sera, tra i più autorevoli oppositori di Silvio Berlusconi nell' ultimo quarto di secolo. Per ricordarlo, pubblichiamo un breve testo inedito del 2007, recuperato dalla vedova, Isabella Gherardi.
Testo di Giovanni Sartori pubblicato da il “Fatto Quotidiano”
La democrazia è il più difficile di tutti i sistemi di governo. I dispotismi, le dittature sono facili da gestire: comandano con la forza. Le democrazie devono invece essere consentite (del dèmos). Per di più, sono macchine complicate perché il cosiddetto potere del popolo si sviluppa, per esteso, nella formula "potere del popolo sul popolo".
GIOVANNI SARTORI - LA CORSA VERSO IL NULLA
Vengo al nocciolo del mio argomento, che puntualizzerei così. La democrazia come insieme di strutture è, o può essere, una macchina che funziona. Chi non funziona sono i macchinisti, a tutti i livelli: da quello dei capi-macchina (i governanti) a quello dei mini-macchinisti (il popolo, i governati). Non è vero (di fatto) che il popolo abbia sempre ragione.
Spesso ha torto. Il principio della democrazia è che ha (il popolo, s'intende) il diritto di sbagliare. Ma se sbaglia troppo e troppo spesso, allora la democrazia è nei guai. Guai che sono oggi aggravati dalla incompetenza dei competenti. La democrazia doveva essere una ideocrazia e, come tale, deve essere capita. Invece è sempre più una repubblica di asini raglianti. E una democrazia spiegata e guidata da asini raglianti non può funzionare. Per ora, siamo salvati dal principio di legittimità. Ma fino a quando?
I NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORI
2 - SE L'ITALIA AVESSE ASCOLTATO SARTORI OGGI NON SAREBBE IN QUESTI GUAI
Vittorio Feltri per “Libero Quotidiano”
Un anno fa, a quasi 93 anni, moriva Giovanni Sartori, che le persone care chiamavano Vanni. In queste settimane, scienziati della politica e analisti di faccende governative lo citano con riverenza per provare a spiegare qualcosa del presente che così complicato non è mai stato, o addirittura predire il futuro dell' Italia con i loro alambicchi tarati sui libri. Logico che cerchino di ispirarsi a quelli che tutti loro chiamano Maestro.
Sartori e la moglie Isabella Gherardi
Sartori è stato un campione mondiale in questo ramo del sapere e le sue teorie elaborate a Stanford e a New York hanno tuttora una validità permanente e transcontinentale. Dunque per una volta i politologi pescano con il loro ramaiolo nel tino del vino buono.
E allora perché ci blocchiamo a metà articolo o cambiamo canale dopo mezzo minuto dei loro discorsi, nonostante il ritaglio dei sacri testi del Vanni? Il fatto è che le parole del Maestro trasferite nei compitini altrui inacidiscono, sanno di aceto, non sono adatte a condire l'insalata di pensieri morigerati. O peggio, le citazioni si slavano in tesi prive di sapore.
I NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORI
Il problema non è che costoro hanno studiato poco, o che non si siano chinati sulle sudate carte. La questione è che Sartori traeva i suoi giudizi sul presente, e il suo sguardo sull' avvenire, applicandoci la testa e mettendoci le palle. Per lui sapere e sapore erano sinonimi. A sua volta prima di fornire un parere sulle cose della vita politica, non si limitava a pesare le componenti chimiche e le leggi fisiche, ma le assaggiava usando olfatto, e gusto, e un sesto senso che è l' odio assoluto per la noia, la repulsione per il già sentito, per l' osservazione prudente e duttile.
I NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORI
Per sessant' anni ha scritto editoriali sul Corriere della Sera. Tranne quelli vergati nei dintorni di Ferragosto, dove dibatteva di ambiente e sovrappopolazione - ciascuno ha i suoi demoni -, non m'è mai capitato di non cominciare e di non finire un suo articolo. Non ricordo un solo caso in cui non sia riuscito a farmi inarcare il labbro in un sorriso, qualche volta amaro. Ma accidenti lui ha insegnato che guardare la politica esige una vibrazione della penna, una passione che però non si prende del tutto sul serio, perché accetta di alzare il bicchiere, non usa acqua minerale, bensì vino rosso, un velo di mestizia e un guizzo di allegria.
giovanni sartori riceve la gran croce cilena
FORMULE IMMORTALI
Ha inventato formule immortali, dal Mattarellum al Porcellum, ed era come se disegnasse baffi irridenti sotto il naso degli autori di queste trovate per lui orribili, ma i partiti le citano lo stesso come fossero complimenti. È sempre stato per il doppio turno alla francese, con ballottaggio. Dell' Italicum si limitò a dire che era un «pasticcio» con un nome ridicolo, ricalcato su quelli da lui coniati, che gli ricordava «un treno».
Dei politici apprezzava quelli antipatici, tipo Massimo D'Alema, «uno che sa leggere e scrivere». Di tutti gli altri non riusciva ad esimersi dall' immergerli nel suo italiano simpatico come l' acido muriatico. Ha vissuto quasi 93 anni. Se n' è andato da Firenze, dove all' università Cesare Alfieri aveva per primo introdotto la materia. Detestava che le sue lezioni fossero vessate dai contestatori da strapazzo, che sono poi quelli che alla fine ci hanno comandato, ci comandano e persino citano i suoi testi.
Isabella Gherardi Giovanni Sartori
E si è recato in America ad insegnare. Lascio agli accademici della disciplina spiegare perché la sua Teoria dei partiti (edizione italiana nel 1982), pubblicata nel 1976 in inglese a New York, sia un classico insuperato al punto da renderlo un' autorità mondiale. Mi accontento di registrare come questo volume abbia rifondato la scienza politica, riportando la Toscana, in questo ramo della conoscenza, ai fasti di Machiavelli.
Sartori e la moglie Isabella Gherardi
PRAGMATISMO
La sua scienza però non è da intendersi come individuazione di leggi che poi qualsiasi salumiere possa affettare e servire ai clienti. Essa era ancorata a un' arte sottile, che è lo spirito di osservazione e l'istinto. Qualcuno potrà pure definirlo pragmatismo anglosassone, io preferisco ritenerlo il metodo fiorentino, che ho visto praticare da Oriana Fallaci. Ma viene bene solo se si è geniali e incapaci di conformismo, bastian contrari anche nei confronti di se stessi.
L'ho imparentato a Oriana Fallaci. Constato che - oltre all'essere entrambi nati e morti sotto la cupola di Santa Maria del Fiore, e siano stati apprezzati più in America che in Italia - abbiano individuato concordemente l'assoluto pericolo che rischia di travolgerci, e - pur essendo entrambi anticlericali - abbiano contrapposto la civiltà cristiana che ha generato la laicità, all' islam, che identifica religione e politica, e non tollera la libertà.
Giovanni Sartori firma il registro
Tutta la sua produzione saggistica dimostra acume e lucidità. Ma l'ultimo suo libro, che affronta temi attuali, è un distillato di intelligenza. Titolo: La corsa verso il nulla. Dal quale si evince che l'umanità non si ferma mai, ma non sa dove andrà, probabilmente nella tomba. L'opera (105 pagine, editore Mondadori, 15 euro) si beve in alcune ore. In particolare raccomando un capitolo, il quinto, dedicato a un argomento scottante: cristianesimo e islam, laicismo e religione, 12 pagine illuminanti che andrebbero imparate a memoria allo scopo di mondare le discussioni televisive dalle troppe stupidaggini che le caratterizzano.
Giovanni Sartori e Isabella Gherardi
Qui Sartori ha compiuto un miracolo, raccontando col supporto delle proprie conoscenze storiche, le differenze (e le iniziali analogie) fra le due religioni in questione, nonché i motivi per cui l'Occidente si è laicizzato, mentre il Medio Oriente e altri Paesi (non solo africani) non distinguono nettamente i testi sacri da quelli che costituiscono le norme statali.
Propongo un brevissimo brano del professore: «Paradossalmente, noi cristiani siamo stati laicizzati dalle ferocissime guerre di religione interne tra cattolici e protestanti... L' Europa ne uscì stremata. Chiese e impose la tolleranza. L'islam non ha mai conosciuto guerre di religione interne paragonabili alle nostre. Wahabiti, sunniti e sciiti si scannano tra di loro, ma sporadicamente e su piccola scala... Il diritto canonico è un diritto interno alla Chiesa, mentre il diritto della società europea è sempre stato il diritto romano e, quindi, un diritto autonomo. Invece il diritto islamico si deve sempre confrontare e ricondurre al suo diritto religioso».
PENNA ILLUSTRE
Giovanni Sartori e Isabella Gherardi
L'analisi è perfetta e può entrare anche nei crani vuoti oltre che in quelli pieni di pregiudizi e idee sbagliate. Non la tengo lunga perché desidero dare ancora un po' di spazio alla penna dell' illustre docente: «Comunque, il punto concreto è quale sia oggi, l'islam vincente. Che è, temo, l'islam estremista e fondamentalista (checché ne dicano gli intellettuali occidentalizzati).
Nella storia gli assenti, e in questo caso gli islamici dormienti che non sono raggiunti dal bombardamento delle comunicazioni di massa, non contano, sono cancellati. Gli islamici che contano sono quelli risvegliati dal messaggio dell'odio e del rigetto dell'Occidente.
Perché si tratta proprio di rigetto». Seguono altre riflessioni meritevoli di essere scolpite nel marmo. Ne scelgo una, conclusiva: «I cosiddetti Stati moderati islamici non sono la salvezza dell' Occidente, ma piuttosto Stati da salvare».
Giovanni Sartori e Massimo Teodori
Aggiungo, per chiudere questo capitolo sull'islam, una elementare considerazione: «Chi rimane non deve avere diritto di voto, altrimenti i musulmani fondano un partito e, con i loro tassi di natalità, tra trent'anni avranno la maggioranza. E noi ci troveremo a vivere sotto la legge di Allah. Ho vissuto trent'anni negli Usa. Avevo tutti i diritti, non quello di voto».
Per non finire con citazioni demoralizzanti, ne trovo una data in un'intervista a Mario Prignano, pure lui passato a suo tempo da Libero. Era il 2009, e tutti favoleggiavano di dittatura e di fascismo berlusconiano. Lui non amava Silvio. Ma negò e spiegò: «Storicamente la dittatura ha sempre comportato la trasformazione dell'assetto istituzionale, come successe con Mussolini e Hitler. Berlusconi, invece, non ha bisogno di cambiare la Carta costituzionale, la sua strategia è quella di occupare tutti i posti di comando. No, il suo sistema di potere lo definirei piuttosto una sorta di sultanato, con tanto di harem e di corte». Era il 5 marzo 2009, prima del bunga bunga, se avesse attinto qualcosa da Sartori invece di incazzarsi, Berlusconi avrebbe evitato qualche guaio.
A proposito a quel tempo, a 85 anni, fregandosene di quelli che chiamava «pensabenisti», si fidanzò con Isabella Gherardi, pittrice e fotografa, molto bella e molto giovane. La sposò anni dopo. Leggo ora un ricordo del marito, apparso su huffingtonpost.it, e non posso fare a meno di leggerne qualche rigo poiché ci trovo molta scienza e molta poesia che onorano quel magnifico vecchio.
L'AMORE
«È passato un anno da quando per l'ultima volta ti sei seduto alla tua scrivania. Quella scrivania che, giovanissimo professore al Cesare Alfieri, ti aveva colpito per la sua ampiezza da un antiquario fiorentino e che avevi acquistato. Quella che ti avrebbe seguito a Palo Alto, quando insegnavi a Stanford e poi a New York nei diversi grattacieli dove hai abitato. Ci voleva una gru a New York per collocarla nei tuoi vari studi e non c'erano mai ascensori abbastanza grandi... Adesso è sempre lì come l'hai lasciata. Certo non c'è più il gatto rosso (Piripicchio) che la insidiava, desideroso di prendere il posto del capo.
Giovanni Sartori e Isabella Gherardi
Quante volte hai protestato per la sua impudenza. Dormire sulla bozza di un tuo libro era una goduria per la bestiola. Adesso se tu ci fossi, potremmo, nelle mattine calde e non piovose, scendere a piedi a Piazza Farnese per prendere i giornali e un caffè». C'è qualche possibilità di non essere vissuti invano, allora, prima delle tenebre.
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