SILVIO, UN MORTO CHE CAMMINA - SCALFARI: LE DIMISSIONI DI STARK DALLA BCE UNO SCONTRO TRA FALCHI E COLOMBE DEL GOVERNO TEDESCO CHE È COSTATO AI MERCATI 157 MLD € - LA SCELTA DEL SOSTITUTO STARK, JOERG ASMUSSEN, VOLUTO DALLA “CULONA” ANGELA, CONFERMA CHE LA CDU SI STA LENTAMENTE MA PROGRESSIVAMENTE SPOSTANDO VERSO POSIZIONI PIÙ EUROPEISTE. MA FORSE è TROPPO TARDI…

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1 - L'ULTIMO RINTOCCO DEL GOVERNO FANTASMA...
Eugenio Scalfari per La Repubblica

Una parola sulle dimissioni di Juergen Stark dalla Bce. Non si tratta di un atto conforme alla politica del governo tedesco, ma dell'impennata dei "falchi" della Bundesbank che giocano d'anticipo contro eventuali svolte della Merkel in vista d'una nuova "grossa coalizione" con i verdi e con la socialdemocrazia. I "falchi" della Bundesbank sono da sempre contrari ad un'evoluzione dell'Europa verso un vero governo federale e verso un bilancio europeo che si faccia carico della politica fiscale comune.

Le dimissioni di Stark fanno parte di questo scontro all'interno della politica tedesca, tantoché la persona già designata a sostituirlo ha caratteristiche decisamente opposte a quelle del dimissionario.

Se quelle dimissioni hanno provocato una tempesta sui mercati che aveva come oggetto principale la nostra manovra economica, quell'effetto è la prova provata di quanto abbiamo fin qui scritto sulla drammatica incompletezza della nostra politica economica dal lato della crescita.

Questo spiega anche le parole durissime della Marcegaglia che per la prima volta ha reclamato non soltanto una manovra definitivamente efficace, ma le dimissioni dell'attuale governo. Non l'aveva mai fatta una simile richiesta; l'ha fatta venerdì scorso ed è stato come il rintocco d'una campana a morte.

Una politica che dia immediatamente rilancio ai consumi e agli investimenti e trovi le risorse necessarie per finanziare questa operazione non può essere etero-diretta né può essere affidata ad un governo fantasma.

Occorre perciò che questo governo scompaia definitivamente e che dia luogo ad una coalizione di tutte le forze responsabili guidata da una personalità democratica che goda della fiducia dell'Europa. Se non ci sarà al più presto questa soluzione, avremo il marasma e lo sfascio. Tenere ancora in piedi un morto che cammina è la cosa peggiore che ci possa accadere.

2 - ALLA BCE CAMBIANO GLI EQUILIBRI, ECCO CHI DECIDERÀ SU ATENE E ROMA...
Andrea Bonanni per La Repubblica

Il futuro dell´Italia, dell´euro e dell´Europa non si gioca più a Roma o a Bruxelles ma a Francoforte, nel grattacielo dell´Eurotower dove ha sede la Banca centrale europea. E´ questa la lezione che si trae dal terremoto che ha fatto seguito ieri alle dimissioni di Juergen Stark, il membro tedesco del board della Bce. Centocinquantasette miliardi: tanto è costata la fuga di notizie sull´imminente terremoto che stava per abbattersi sull´istituto di Francoforte: in pochi minuti le borse mondiali hanno bruciato una somma equivalente ad oltre un decimo del Pil italiano.

Mai le dimissioni di un governo europeo, o della stessa Commissione di Bruxelles, avevano provocato una simile ondata di panico. E questo forse basta a dare la misura del ruolo sempre più cruciale che la Banca centrale ha assunto per i destini del Continente.
Ma, proprio nel momento in cui si conferma come pilastro della governance europea, la Bce sta passando attraverso una rivoluzione dei suoi quadri dirigenti. Dei sei membri del «board», cioè del comitato esecutivo, la metà uscirà entro la fine dell´anno. A ottobre, infatti, scade il mandato del presidente, Jean-Claude Trichet, che sarà sostituito dall´italiano Mario Draghi.

L´ingresso di Draghi comporterà l´uscita del membro italiano del board, Lorenzo Bini-Smaghi, che dovrebbe lasciare il posto ad un francese in sostituzione di Trichet. Infine c´è il rimpiazzo del dimissionario Juergen Stark, e ieri Berlino ha confermato che manderà al suo posto l´attuale vice ministro delle Finanze, Joerg Asmussen.

Anche se l´abbandono di Stark è certamente collegato allo scontro in corso nell´Eurotower tra due filosofie di politica monetaria, non è semplice prevedere come questi cambiamenti trasformeranno la geografia politica dei vertici della Banca centrale. Innanzitutto perché le decisioni strategiche dell´Istituto non vengono prese solo dai sei membri del Board, ma dai 23 membri del «Council», il Consiglio direttivo composto dal Comitato esecutivo e dai 17 presidenti delle banche centrali nazionali che partecipano all´Unione monetaria. Le riunioni del Consiglio direttivo sono bimensili.

Le decisioni vengono prese preferibilmente per consenso ma, se non si trova un accordo, si vota a maggioranza. I verbali delle riunioni, però, sono segreti. E ancora più segreti sono, ovviamente, i voti espressi da ciascun membro del Council.

Questa regola, fortemente voluta dal primo presidente della Bce, l´olandese Wim Duisemberg contro il parere della Francia, è giustificata con la necessità di preservare l´indipendenza di giudizio dei governatori delle banche nazionali rispetto ai governi dei propri Paesi. Ma rende anche difficile capire quali siano i reali equilibri interni all´Eurotower. Circola per esempio la voce che alla riunione del Consiglio che il 7 agosto autorizzò l´acquisto sul mercato secondario di titoli di stato italiani e spagnoli ci siano stati quattro voti contrari.

Si può ipotizzare che abbiano votato «no» sia Juergen Stark sia l´altro tedesco, il presidente della Bundebank Jens Weidmann, sia il presidente della banca centrale olandese Klaas Knot. Se però questi dati fossero veri, almeno due dei tre presidenti di banche centrali i cui governi sono attestati sulla linea iper-rigorista, Finlandia, Austria ed Estonia, non avrebbero seguito le indicazioni provenienti dalle capitali.

In linea di massima, comunque, se tutti indistintamente i membri del Council sono concordi nel chiedere ai governi una linea di assoluto rigore finanziario, è evidente che la crisi in corso ha dato origine alla contrapposizione di due filosofie. La maggioranza del Consiglio è orientata a privilegiare la difesa dell´euro e dell´Unione europea, anche a costo di scendere a qualche compromesso. C´è però una minoranza di «falchi» secondo cui non si può a nessun costo trasgredire alla linea del rigore monetario, anche se questo dovesse costringere alcuni Paesi ad uscire dalla moneta unica.

La sostituzione di Trichet con Draghi e di Bini-Smaghi con un francese ancora da designare non dovrebbe modificare gli equilibri esistenti, anche se Draghi, probabilmente, cercherà di avere un atteggiamento più conciliante per ricucire in qualche modo lo strappo provocato dalle dimissioni di Stark. Sia l´Italia sia la Francia sono storicamente e in modo bi-partisan portate a ritenere che la moneta unica sia uno strumento al servizio del progetto europeo e che dunque il dovere ultimo della Banca centrale sia quello di difendere, oltre alla stabilità dei prezzi, anche la sopravvivenza dell´euro.

L´uscita di scena di Juergen Stark, invece, sicuramente indebolisce il fronte dei «falchi», anche perché il tedesco era diventato con il tempo un vero punto di riferimento per gli oltranzisti dell´ortodossia monetaria. La decisione della cancelliera Merkel di sostituire Stark con Joerg Asmussen, un economista «politico», probabilmente più disponibile a riflettere gli orientamenti del governo di Berlino in cui sedeva fino a ieri, viene letta come una conferma che la Cdu, il partito della Cancelliera, si sta lentamente ma progressivamente spostando verso posizioni più europeiste e meno ortodosse. In questo caso il compito di ricucitura che spetterà al nuovo presidente Mario Draghi, potrebbe rivelarsi relativamente più semplice.

 

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