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Fabio Martini per "la Stampa"
Uno smarcamento fatto sottovoce, senza proclami, ma eloquente: Lino Paganelli, comunista in gioventù, da anni responsabile delle Feste democratiche, meglio note come Feste dell'Unità , passa con Matteo Renzi. L'altra sera, all'Auditorium di Roma c'era anche Paganelli, lo hanno visto quelli dell'Unità online e gli hanno chiesto cosa ci facesse lì e lui ha «confessato»: «Quella di Renzi è una candidatura che fa bene al Pd, perché mi sembra coerente con lo spirito col quale è nato questo partito, l'idea di mettersi in gioco. E Renzi interpreta quell'entusiasmo delle origini, quella voglia di fare».
Fiorentino, prima iscrizione al Pci, uno dei funzionari di partito più affidabili della stagione post-comunista, al punto di affidargli l'organizzazione di un appuntamento clou come la Festa nazionale, Lino Paganelli è il primo funzionario-dirigente del Pd di «fascia alta» ad annunciare di non appoggiare il segretario Pier Luigi Bersani. E su Facebook, Paganelli si è spinto un po' più avanti: a D'Alema che aveva annunciato la fine del centrosinistra in caso di vittoria di Renzi, lui ha risposto: «Mi sono perso la lezioncina del leader massimo».
Difficile immaginare se sia l'inizio di uno smottamento tra i quadri exPci-Ds, anche se, da quel che trapela, nelle prossime ore dovrebbero manifestarsi nuove «dissociazioni». Fenomeno, quello degli ex-Ds, che va ad affiancarsi ad un altro, di più ampie proporzioni ma finora restato sotto traccia: il passaggio sotto le insegne di Renzi di una quantità crescente di quadri locali, assessori e dirigenti provinciali di provenienza Margherita.
«La cosa davvero sorprendente è che noi non li stiamo cercando, vengono per conto proprio», dice Roberto Reggi, responsabile organizzativo dello staff del sindaco di Firenze. Proprio questo spostamento è la sorpresa meno attesa del ciclone Renzi. Un mese fa, all'inizio della sua avventura, sondaggi e previsioni convergevano: il sindaco può raggiungere una fascia rilevante di elettori di frontiera (difficilmente mobilitabili alle Primarie), ma incontrerà resistenza nella fascia degli amministratori e dei quadri di partito, sia ex Ds sia ex Margherita, decisivi nella mobilitazione della base.
Nelle prime quattro settimane di campagna Renzi ha visibilmente eroso quel quadro: ha fatto il «pienone» di presenze e di applausi nelle Festa dell'Emilia-Romagna e della Toscana tra la base «rossa», ha fatto simpatia e grandi numeri nelle «marche» leghiste, come Veneto e Lombardia.
Ma la partita nuova si gioca tra i dirigenti intermedi: per ora oltre ad alcuni sindaci ex ds di zone rossissime della Toscana, la sorpresa è l'emorragia che sta investendo a livello periferico le correnti ex popolari di Beppe Fioroni ed Enrico Letta. Racconta Reggi: «All'inizio ci siamo posti un problema: li andiamo a cercare o li aspettiamo? E' stato scelto di restare fermi e ci saremmo attesi che si muovesse qualcosa soltanto dopo la definizione delle regole per le Primarie e invece hanno anticipato i tempi».
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