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Francesco Battistini per “Il Corriere della Sera”
Gocciola sulla moquette il condizionatore, s’imperla la fronte di Panayotis Lafazanis: «Bisogna dare respiro a questo Paese…». Nella saletta stretta del Vouli, l’aria gira. Ma sotto i fari delle tv, un’alogena che soffrigge, l’ex ministro dell’Energia ha l’affanno dei momenti storici: «Ci abbiamo pensato tanto». Un mese di mal di pancia e poi via, deciso: non ci sono più le condizioni per rimanere con Alexis Tsipras.
Se il premier si dimette, anche la sinistra radicale se ne va. «Non possiamo lasciare orfani i greci che non vogliono quest’Europa», dice il matematico Lafazanis, che di Tsipras non ha il giovanile fascino e l’inesperienza (quello nasceva e lui già s’opponeva ai Colonnelli), eppure fino a ieri ne condivideva le strategie: «L’eliminazione della maggior parte del debito è fattibile», è il suo programma; «uscire dall’euro non sarà un cammino verso l’inferno», la sua promessa. Applaude l’ex viceministra Valavani, che s’era già dimessa in luglio. Sorride la deputata trotzkista Gaitani: «Così fermiamo il furto della borghesia ai danni del popolo!». Ironizza la stampa della destra: benvenuti, avete gli stessi obbiettivi antieuropei dei neonazi di Alba Dorata…
Non è la solita scissione dell’atomo. Syriza contava già tredici correnti, ma questa nuova Laiki Enotita, Unità Popolare, avrà 25 (forse 29) deputati tutti suoi. E per un mese diventa la terza forza del Parlamento. Coi sondaggi che non le danno più del 10%, ma con la possibilità di pescare in quel 62% che al referendum di luglio aveva schiaffeggiato la Merkel e chi lo sa, ora, come la pensi del realismo d’uno Tsipras nato incendiario e cresciuto pompiere; d’un governo che a gennaio era deciso a rinegoziare il debito e otto mesi più tardi è obbligato a scambiare i nuovi aiuti con tutto quel che un tempo osteggiava: le privatizzazioni di porti e aeroporti, l’aumento dell’Iva, le tasse sulla casa, la fine delle baby pensioni…
Per il leader di Syriza, comunque vada, la scissione non è un dolore. Un parto programmato, semmai. In un solo colpo, si libera degl’irriducibili. E scopre con sollievo che fra i 25 fuorusciti non c’è al momento lo scomodo Varoufakis, il ministro delle Finanze silurato da Bruxelles. Sembra evitare lo scontro diretto anche Zoe Kostantopoulou, la «pazza Zoe», l’unica che per molti potrebbe contendere a Tsipras lo scettro della popolarità: l’avvocatessa ha deciso di rimanere presidente del Parlamento, anche se la descrivono furibonda per il modo in cui l’amico-nemico Alexis s’è dimesso (informando Bruxelles e Berlino prima di lei) e per gl’incarichi esplorativi che il presidente Pavlopoulos sta conferendo al leader di Nuova Democrazia, Meimarakis, e forse allo stesso Lafazanis.
«Ho il dovere di provarci», non ci crede nemmeno Meimarakis, finite le prime consultazioni: un governo di coalizione alternativo appare impossibile, né il Pasok, né i liberali di Theodorakis ci stanno. Le elezioni di settembre finiranno così per essere un referendum Tsipras-sì-Tsipras-no. Con una domanda: i miliardi cash per pagare banche e Bce valgono quattro ricorsi alle urne in dieci mesi, uno spericolato testacoda nei programmi, un partito spaccato? Un raggio di sole viene dai dati del turismo, +20%, con un’impennata di presenze tedesche.
Ma gli uomini del rating , l’agenzia Fitch, rivedono nubi all’orizzonte: votare in anticipo mette a rischio il piano d’aiuti. Sono i soli a dirlo, perché la mossa del premier greco è apprezzata da chi tiene i cordoni: più consensi riceve Tsipras, è il calcolo, meno lacrime ci saranno quando arriverà il sanguinoso ottobre con gli effetti dei nuovi tagli. «Spero che si voti al più presto, per perdere meno tempo possibile», dice il presidente dell’Eurogruppo, Dijsselbloem. E Angela Merkel, a scanso d’equivoci: «Gli accordi raggiunti, decisi dal governo e votati dal Parlamento, restano validi anche dopo il voto».
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