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Alessandra Arachi per il "Corriere della Sera"
Per dirsi addio hanno usato i giornali. Interviste a distanza sul Fatto quotidiano, come due leader politici consumati. Ma la verità è che è stata proprio la politica a consumare il sodalizio che fra Antonio Ingroia e Luigi de Magistris sembrava aver superato prove ben più toste. Ma tant'è.
Proprio di ieri è il titolone che ha sancito il divorzio: «Ho chiuso con De Magistris», decretava Ingroia in risposta a quello che il sindaco di Napoli gli aveva mandato a dire il giorno prima: «Basta, Rivoluzione civile è finita». Sullo sfondo le immagini di una città , Napoli, bruciata e distrutta. Simboliche e drammatiche.
Avevano attraversato momenti all'apparenza ben più complicati, i due. Magistrato uno. Magistrato l'altro. Ingroia e De Magistris si sono sempre trovati in procure calde e di frontiera. A condurre battaglie scomode, spesso a braccetto. In difesa l'uno dell'altro.
E' stato soltanto qualche settimana fa, a ridosso dello scorso Natale, che i due magistrati hanno sterzato sulla politica: Rivoluzione civile. De Magistris è stato il primo a benedire il partito che voleva candidare Ingroia a Palazzo Chigi. Di più: Ingroia era ancora in Guatemala per conto dell'Onu quando De Magistris varava la nuova impresa politica con il colore del suo movimento, l'arancione. Ma l'idillio è tramontato, nemmeno il tempo di sorgere.
E pensare che era stato proprio Ingroia a correre in soccorso di De Magistris quando per l'inchiesta Why not venne messo sotto accusa dal Csm. Pubblicamente, prima. Legalmente poi: è stato Ingroia a difendere il collega di Napoli nel secondo procedimento al Csm.
Difesa cordialmente ricambiata. à stata la voce di De Magistris quella che nel dicembre scorso si è levata con più potenza in difesa del collega di Palermo messo sotto accusa, contemporaneamente, da parte del Csm e dell'Anm. «La sentenza della Consulta è politica», aveva detto Ingroia commentando quella sentenza che aveva dato ragione al Quirinale sulla storia delle intercettazioni nella vicenda Stato-Mafia, provocando la bufera. De Magistris lo aveva difeso, rilanciando e rafforzando le sue affermazioni.
Rivoluzione civile viene partorita pochi giorni dopo. E adesso a rivedere in controluce le tappe di un partito che aveva scelto come sfondo del simbolo il quadro di Pellizza da Volpedo, c'è una sintesi che viene fuori con un'evidenza paradossale: ci ha pensato un ex-magistrato a far litigare due magistrati amici da sempre. Perché sì, è andata così: Ingroia e De Magistris non hanno fatto altro che discutere sulle metodologie usate da Antonio Di Pietro che con la sua Idv si era infilato dentro Rivoluzione civile.
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