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francesco rutelli foto di bacco
Mario Ajello per ''Il Messaggero''
Dieci anni fa, Francesco Rutelli ha scritto un rapporto sul traffico degli esseri umani come minaccia alla sicurezza nazionale. E fu approvato all’unanimità dal Parlamento. Poi Rutelli ha lasciato la politica ma questo resta per lui e per tutti un problema cruciale dell’Italia.
Rutelli, la sinistra in questi anni è apparsa distratta sul tema della sicurezza e su questo rischia tra l’altro di non vincere le elezioni in Emilia. Grave sottovalutazione?
«Le racconto il ricordo che ha voluto farmi un anziano ex senatore comunista dell’Emilia Romagna. Le sue parole coincidono con l’analisi che è stata fatta per decenni dalla sociologia di sinistra più avvertita. Penso per esempio a Marzio Barbagli».
Che cosa le ha raccontato il senatore?
«Mi ha detto che finché è esistito un rapporto profondo con i ceti popolari, i dirigenti anche delle sezioni più sperdute del Pci - quando si verificavano tensioni con immigrati e attenzione, allora erano anche immigrati dal Sud d’Italia - andavano a bussare alle porte delle case spiegando alle persone i doveri della convivenza, del rispetto e del quieto vivere. E lo facevano anche con argomenti piuttosto energici, fino ad arrivare al litigio».
E poi?
«Poi tutto questo si è perso. Si sono indeboliti i corpi intermedi, è diminuita fortemente la presenza locale dei partiti, è sparita la mediazione di fronte a problemi complessi a beneficio del tweet e di risposte immediate ed emotive. E in questa solitudine delle persone, soprattutto tra i ceti popolari, la paura è diventata una concittadina del quotidiano».
La sinistra non ha capito tutto questo?
«Le forze democratiche si sono divise tra una visione matura e un atteggiamento a sua volta emotivo, che non tiene conto di alcuni dati a mio avviso di enorme rilievo».
Quali dati sono?
«Quando in Italia si parla di immigrazione, per il 98 per cento si parla di sbarchi. Poi c’è un 1 per cento dedicato a ciò che accade prima degli sbarchi, ovvero al traffico di essere umani che alimenta mafie e corruzione internazionale. E infine, per il restante 1 per cento, si parla di ciò che succede o dovrebbe succedere dopo gli sbarchi, cioè di come vanno integrati coloro che sono arrivati in Italia».
Insomma non si parla quasi del nocciolo vero della questione?
«Proprio così. Bisogna guardare i numeri del macro-fenomeno, non solo le cifre dei migranti che arrivano nei nostri porti. La sola Nigeria, nel 2050, cioè praticamente domani, si prevede che avrà la stessa popolazione dell’intera Europa. E perché nessuno parla di questa prospettiva dirompente di uno squilibrio demografico, che va a incidere nella vita quotidiana dei nostri quartieri?».
Non lo fa la politica, non lo fa la sinistra?
«La sinistra non è riuscita a passare dalla sacrosanta mobilitazione anti-razzismo alle politiche conseguenti. Le due cose vanno tenute insieme. E lo faccia dire a chi, nei lontani anni delle mobilitazioni umanitarie dei Radicali contro la fame nel mondo, s’è trovato davanti al muro dell’indifferenza e del disprezzo».
Ma come si fa una politica efficace su immigrazione e sicurezza?
«I livelli sono due. Quello europeo e quello nazionale. Dobbiamo pretendere dall’Europa che contribuisca a governare e a risolvere la sfida dell’immigrazione, sennò ne sarà travolta. Il problema è una mancanza di leadership europea. E visioni nazionali di corto respiro».
E in Italia?
MIGRANTI IN GERMANIA - HANGAR DI TEMPELHOF
«Non si può accettare che esista un numero imprecisato di persone che vivono nel nostro Paese senza averne i titoli. Non sto parlando naturalmente dei rifugiati, che un Paese civile come il nostro deve volere e sapere accogliere. Parlo dei flussi gestiti dai trafficanti di esseri umani: non possono essere loro a decidere chi deve venire in Italia! Questa è una cosa folle. Chiunque stia nel nostro Paese deve avere un nome e un’identità e deve rispondere alle regole. Altrimenti, non c’è migliore manovalanza per il crimine organizzato».
L’Europa ha sottoscritto accordi con i Paesi africani e asiatici. Perché non diventano operativi?
«Su questo l’Italia deve far sentire fortemente la sua voce. Gli accordi di Lomé, poi diventati di Cotonou, stabiliscono importanti sostegni economici e sociali per i Paesi in via di sviluppo, ma possono e debbono comportare anche da parte dei riceventi doveri e impegni concreti. In particolare l’efficacia dei rimpatri dei migranti privi di requisiti. La Ue tutta insieme deve collegare gli aiuti, anche crescenti, ai Paesi in via di sviluppo con questa ordinaria collaborazione che è l’unico strumento credibile per tagliare le unghie ai trafficanti».
Così avremo città più sicure?
«Non solo più sicure ma anche più capaci d’integrare e ricche di pluralismo culturale. Le forze democratiche dovrebbero tornare ai principi ispiratori di oltre un secolo fa, ovviamente aggiornati ai tempi: umanità e legalità».
E’ il mancato mix che ha tolto al Pd l’Umbria e lo fa traballare in Emilia?
«Credo proprio di sì. I ceti dirigenti democratici non devono vergognarsi di difendere le aspettative di milioni di cittadini che vivono con sbandamento le grandi trasformazioni. Senza cadere, però, nella propaganda demagogica che non risolve niente».
Salvini grida ma i rimpatri non li fa?
«Il capo della Lega ha azzeccato un filone di grande popolarità. Ma nel medio termine tutti saranno interpellati sui risultati. La battaglia per l’umanità e la legalità non può ridursi a sbarchi sì o sbarchi no. E’ la certezza dei rimpatri il punto fondamentale. Su questi temi si deve ricercare la più larga convergenza. E aggiungo: in Francia, è in corso in queste ore il dibattito parlamentare sulla nuova legge che stabilisce le quote legali per l’immigrazione. O in Italia le forze democratiche entrano in questo ordine di idee oppure nelle elezioni dei prossimi anni non ci sarà partita».
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