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DAGOREPORT - I REPUBBLICANI ANTI-TRUMP HANNO TROVATO IL LORO ALFIERE: JD VANCE - IL VICEPRESIDENTE…
SE SPENDIAMO COSÌ I SOLDI DEL RECOVERY, STIAMO FRESCHI - UN'IMBARAZZANTE RELAZIONE DELLA CORTE DEI CONTI SPIEGA BENE COSA (NON) ABBIAMO FATTO IN 22 ANNI SULLA SANITÀ, PROPRIO DOVE DOVREMMO INVESTIRE UNA VENTINA DI MILIARDI IN ARRIVO DALL'EUROPA - PROGETTI MAI PARTITI, LAVORI LUMACA, 315 MILIONI NON UTILIZZATI: IL MINISTERO NON HA CONTROLLATO IL CRONO-PROGRAMMA DELLE REGIONI E QUESTI SONO I RISULTATI...
Andrea Bassi per "Il Messaggero"
GIUSEPPE CONTE IN UN MOMENTO DI PAUSA DURANTE LE TRATTATIVE SUL RECOVERY FUND
Lavori lumaca, risorse non spese, controlli mancati. Alla vigilia del Recovery plan, la relazione della Corte dei conti sugli «interventi di riorganizzazione e riqualificazione dell'assistenza sanitaria nei grandi centri urbani», è un macigno per le già labili convinzioni sulla capacità italiana di spendere soldi per realizzare opere.
Lo si potrebbe considerare un manuale degli errori da non commettere, ma che invece sono stati inanellati uno dopo l'altro in un comparto, la sanità e la costruzione ristrutturazione degli ospedali, sul quale nei prossimi anni saranno concentrate notevoli risorse, 21 miliardi.
La storia raccontata nella relazione firmata da Mauro Oliviero, inizia 22 anni fa, nel 1999, quando furono stanziati 1.176.386.762,60 euro (1,76 miliardi) per migliorare l'assistenza sanitaria nei grandi centri urbani. E passi che «grandi centri urbani» è stato interpretato non come grandi Comuni, ma come «centro territoriale di riferimento dalle caratteristiche comuni dei problemi e dei bisogni», definizione che ha permesso di finanziare ospedali anche a Mestre, Budrio e Bazzano. Ma il punto centrale è che il programma di riqualificazione doveva funzionare esattamente come funzionerà il Recovery plan.
CORONAVIRUS - OPERATORI SANITARI CON GUANTI E MASCHERINE
Leggere per credere: lo Stato avrebbe anticipato il 5% delle risorse alle Regioni per progettare gli interventi; nei sei mesi successivi, le Regioni avrebbero presentato i piani e un cronoprogramma e ottenuto un altro finanziamento; ogni sei mesi, poi, il ministero avrebbe dovuto verificare l'avanzamento dei lavori e, solo se questi ultimi avessero raggiunto almeno il 70% di quelli programmati, avrebbe erogato altre risorse. In caso contrario il progetto sarebbe stato stoppato e i finanziamenti revocati.
Risultato? Dopo 22 anni degli 1,76 miliardi restano da spendere ancora 315 milioni di euro. Dei 258 interventi programmati, spiega la Corte dei Conti, ce ne sono ancora 52 da realizzare. Per 23 di questi i lavori sono in corso, per 10 sono sospesi, per altri 19 non sono mai iniziati.
I ritardi ci sono al Nord come al Sud. Il Piemonte conta 19 interventi rimodulati ancora da completare, e nove non sono stati nemmeno avviati; in Calabria non è partito nessun progetto; nel Lazio erano previsti due interventi, l'Ospedale Sant'Andrea (completato) e l'Umberto I, rimasto al palo prima perché la sovrintendenza ci ha messo lo zampino e poi per le continue modifiche al progetto.
La Lombardia fa storia a sé. Ha completato tutti gli interventi previsti, solo che poi si è scordata di chiedere i fondi al governo (ha pagato di tasca propria). Lo stesso ministero ha dovuto sollecitare il Pirellone, altrimenti i soldi sarebbero finiti in prescrizione. C'è anche questo.
LE RESPONSABILITÀ
Ma la verità è che la vera responsabilità per i 315 milioni non spesi, la Corte dei conti l'attribuisce proprio al dicastero della Salute. Questi fondi, spiegano i magistrati contabili, sono andati in «perenzione» da oltre 10 anni. Significa che sono stati cancellati dal bilancio pubblico e, momentaneamente trasferiti tra le passività dello Stato. L'anticamera della prescrizione.
Il ministero avrebbe dovuto controllare i cronoprogrammi presentati dalle Regioni per gli investimenti. Ma quando la Guardia di finanza si è presentata, dei cronoprogrammi non ha trovato traccia. Insomma, scrive la Corte dei Conti, il ministero è stato alla fine «un mero finanziatore» per le Regioni e non ha stimolato in queste ultime, «anche con poteri sostitutivi», la «corretta applicazione delle procedure di spesa».
La conseguenza, conclude la Corte, è «ad oltre 20 anni dal suo avvio, l'attuale stallo per molte opere, che sono ancora incompiute o mai realizzate».
C'è infine un altro punto analizzato dalla Corte: la diffusione territoriale dei ventilatori polmonari. Il 75% di questi dispositivi (ce ne sono 18.500 in tutto) sono ubicati nelle strutture sanitarie del Centro Nord. In rapporto alla popolazione residente c'è un ventilatore ogni 3 mila abitanti nel Centro-Nord e uno ogni 4 mila nel Sud. Una disparità, in tempi di Covid, inaccettabile.
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