UN SEGRETARIO MAI PARTITO – EPIFANI TEME IL FLOP ROMANO DI IGNAZIO MARINO (E LA GUERRIGLIA PD) – RENZI VUOLE SOLO PALAZZO CHIGI

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Giovanna Casadio per "la Repubblica"

Allarme-voto per il Campidoglio: è il primo dossier che Epifani ha aperto. E in una riunione con i circoli e i parlamentari romani al Nazareno, il neo segretario del Pd non ha nascosto la difficoltà di risalire la china per un partito che è riuscito a dissipare ogni vantaggio.

I Democratici fanno fatica persino a riprendersi la storica piazza della sinistra, piazza San Giovanni, la piazza del Primo Maggio ceduta a Grillo nella campagna elettorale per le politiche: «Mi piangeva il cuore alla chiusura della campagna elettorale per le politiche a non vedere noi in quella piazza. Ora, la sera del 23 maggio Grillo sarà a piazza del Popolo, Alemanno al Colosseo e noi torniamo a piazza San Giovanni e la cosa non ha solo un valore simbolico», incita Epifani nel discorso trasmesso su Youdem, la tv del partito.

La piazza è termometro di una riconquistata fiducia - afferma - e il gruppo dirigente deve avere il coraggio di rischiare, perché «non si risale se non rischiamo, non rivinciamo se non abbiamo fiducia. Io ci metto la mia faccia».

La preoccupazione per il voto a Roma è forte: i Democratici temono il voto disgiunto, cioè per il partito e per Marchini, che sembra intaccare i consensi per Marino, il candidato del centrosinistra. Non è l'unico problema da affrontare subito. A sorpresa c'è anche il "caso Prodi" sul tavolo di Epifani. Prodi infatti lascia il Pd, non ritirerà la tessera. «O forse il partito ha lasciato lui», si sfoga Sandra Zampa.

«Rischiamo che come Prodi tanti pensino di lasciare», rincara Gozi. Un addio senza clamore: fanno sapere i prodiani, dopo l'imboscata dei 101 "franchi tiratori" che hanno bruciato la corsa al Colle del Professore. Il Professore mantiene l'abituale riservatezza: «Voglio uscire dalla scena pubblica in punta di piedi», aveva detto e ancora ripete, invitando a lasciare correre le indiscrezioni («Lasciateli scrivere»). «Lo scollamento è diffuso», segnalano i prodiani e fanno l'esempio di un altro addio, quello di Francesco Guccini.

Il segretario bolognese del Pd, Raffaele Donini commenta: «Spero che Prodi non lasci, anche se la vigliaccata che ha subito è dura da digerire, e non solo per lui». Parole pesanti, che rendono il clima nel Pd. Epifani convoca ieri l'assemblea dei senatori (a inizio settimana toccherà ai deputati) per spiegare la rotta sia per quanto riguarda il governo Letta («Sostegno sì, ma con le nostre battaglie») che la riscossa se si vuole far ripartire il Pd.

Proprio Roma - dice - è un punto di ripartenza: come Zingaretti ha conquistato il Lazio nonostante le difficoltà del partito, e Debora Serracchiani il Friuli, l'unione fa la forza anche per il Campidoglio e Marino. «Una campagna che radicalizza alcuni temi, spostata a sinistra», critica Alberto Losacco. Il neo segretario punta a disarticolare le correnti: «Serve uno scatto di responsabilità verso il partito». Non ha ancora messo mano alla segreteria, Epifani. Ieri ha preso possesso dell'ufficio di Bersani al Nazareno, ha iniziato gli incontri con i big, chiarendo che vorrà una segreteria snella e una direzione dimezzata. Annuncia il tour nelle città al voto.

I renziani insistono sulla discontinuità: «Se conferma gli assetti che c'erano prima, allora non si affrontano i "nodi" del Pd», attacca Paolo Gentiloni. Il tam tam sulla candidatura di Chiamparino al congresso d'autunno resta, però i renziani frenano: «È prematura». Renzi potrebbe convincersi a correre per la segreteria se restasse legata alla premiership.

 

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