DAGOREPORT - NON TUTTO IL TRUMP VIENE PER NUOCERE: L’APPROCCIO MUSCOLARE DEL TYCOON IN POLITICA…
Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
«Tutti li sogni cascheno, / mattone pe' mattone, / e drento ar porverone / nun m' aritrovo più...», dice una vecchia canzone romana che sospira sulla demolizione, causa ristrutturazione, della «Casetta de Trastevere / casa de mamma mia». E così si sente Filippo Ceccarelli, sorridendo di sé stesso nel libro Invano. Il potere in Italia da De Gasperi a questi qua (Feltrinelli): non si ritrova più.
Oddio, non che l' acuminato e irridente osservatore della prima, della seconda e della terza Repubblica si sia mai sentito a «casa de mamma sua» in quella o quell' altra casetta politica. Anzi, centinaia di articoli su «Panorama», «Stampa» e «Repubblica» son lì a testimoniare quanto lui sia stato sempre estraneo a un giornalismo d' appartenenza.
Ha visto, ascoltato, annotato, scritto. Con ironia, distacco, eleganza e una punta qua e là di garbata ferocia davanti a certe cose che, come direbbe il nonno Ceccarius, cultore della storia e della cultura popolare romana, proprio «nun se ponno fa». «È sparito il prima. Sembra che tutto sia accaduto la settimana scorsa. Prima non è mai successo niente, prima è il vuoto assoluto, l' anno zero, la tabula rasa - scrive Ceccarelli -. C' entrerà la tecnologia, o il logorio della vita moderna, come diceva un antico carosello di un digestivo al carciofo, ma qui in Italia il passato se la sta svignando di brutto, l' esperienza nessuno la tiene più in conto, la storia si perde, la memoria evapora».
Per questo ha scritto Invano. Per ricordare, invano forse, «in una società allegramente scordarella», come siamo arrivati fin qua. Con quali virtù, errori, colpe, sciatterie e quali statisti e quali «uomini, mezz' uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà», per dirla con Leonardo Sciascia. Perché senza ricordi «si costruiscono case sotto il vulcano, vicino ai torrenti, in zona sismica. Si edificano ponti che crollano. Si va a fare ciao-ciao con navi da crociera rasente alle isolette. E poi tutti a piangere e a cercare i colpevoli».
Ed ecco Alcide De Gasperi che, mortificato dal rifiuto di Pio XII a una udienza privata perché aveva osato dire no a un' alleanza col Msi, risponde a schiena diritta: «Come cristiano accetto l' umiliazione; come presidente del Consiglio la dignità e l' autorità che rappresento, e della quale non mi posso spogliare, mi impongono di esprimere lo stupore per un rifiuto così eccezionale».
E Giulio Andreotti che secondo Leo Longanesi aveva una stretta di mano disorientante («Un po' fredda, un po' umida, tenera come una braciolina di vitello») e per Henry Kissinger nascondeva coi «modi da professore () una mente politica affilata come un rasoio». E Giovanni Battista Montini, Paolo VI, che «fu in realtà una specie di supermegasovrano di una Dc che del Sacro Soglio era l' emanazione terrena» e un giorno si sentì dire da Francesco Cossiga: «Santità, meno male che lei si è fatto prete e non è entrato in politica: avremmo avuto a lungo un posto da presidente del Consiglio in meno».
Solo aneddoti, amenità, curiosaggini della storia? Mica tanto. L' ambizione di «concentrarsi sulle caratteristiche umane, oserei dire antropologiche delle varie classi di governo» è nel libro funzionale a capire «come» nel tempo è cambiata la classe dirigente. E con questa la burocrazia, l' economia, la finanza, gli italiani, lo Stato.
«Un mattone che pesa come una risma di extra-strong, e come tale può essere utilmente utilizzato come fermaporta nelle giornate ventose»: così Ceccarelli ride del suo voluminoso volume. Pesare sì, pesa. Ma perché è un grande almanacco dell' Italia, degli italiani e dei loro bestiari politici. Che fa capire più di pensosi saggi.
C' è la «Weltanschauung» diccì spiegata dall' allora potentissimo Franco Evangelisti: «Nella Dc nun se butta gnente. Mai mettersi in testa di dettare i comandamenti del buon democristiano: primo, devi fare così; secondo, non devi fare cosà; terzo, parla così; quarto, questo; quinto, quello... No! Devi dire: fate come vi pare, basta che portate voti!».
E l' irruenza di Bettino Craxi che prese il potere quando aveva solo 42 anni e sprizzava energia e pareva «una specie di Mastro Lindo senza orecchino» e prendeva il mondo a spallate e spinse Gianni De Michelis a dire, spericolato: «È cominciata un' epoca che ha un solo precedente nella storia, la Belle Époque, e noi dobbiamo soltanto preoccuparci di conquistare un posto in prima fila». E l' intuizione del declino avuta dal diversamente lugubre Mino Martinazzoli che chiamavano «Lumino» ma era un uomo di raffinato umorismo che avvertì il passaggio dai valori ai venditori: «La nave è ormai in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è la rotta, ma ciò che mangeremo domani».
filippo ceccarelli con la moglie elena polidori
E lo sfondamento di Silvio Berlusconi sul quale Federico Fellini vagheggiò un film col magnate «Bernuscotti» che dopo aver «comprato l' Arsenale, la chiesa della Salute, i principali alberghi e palazzi () scendeva in elicottero su piazza San Marco, accolto da consiglieri, nani e giocolieri». E poi Romano Prodi che del Cavaliere «incarnò la più spontanea, radicata, antropologica, esistenziale e, bisogna aggiungere, efficace alternativa».
E Roberto Calderoli che disse che la ministra Cécile Kyenge gli ricordava «un orango» e fu ricambiato dalla notizia che «il papà della Kyenge, nel suo villaggio africano, aveva anche lui allestito un rito collettivo, impropriamente definito "macumba", comunque ai danni di Calderoli» il quale da quell' istante fu investito da un sacco di guai.
Ma i «nuovi», anzi «i Novissimi»? Sfinito dal passato, Ceccarelli scrive che non aveva fiato d' occuparsi di Renzi, Salvini e Di Maio: «In un paese di maschere, eccoli rispondere ai rispettivi soprannomi de "il Bomba", "il Capitano" e "Giggino": e già nel ripetermi questa piccola trinità mi risale alla mente l' espressione corrucciata della sora Lella in un film di Verdone: "Annamo bbene" e scuote la testa "annamo propio bbene!..."»
CARTA IGIENICA SALVINI DI MAIO
Poi ha ceduto. E li ha messi appunto tutti insieme: causa ed effetto. Diversi ma mica troppo: «Avendo il nulla alle spalle, si trovano a loro agio nel carnevale permanente che non di rado contribuiscono ad alimentare e a estendere. Ignorano gerarchie e cronologie. Confondono l' oggettività con l' impatto emotivo, l' attendibilità con la testimonianza, l' autorevolezza con la narrazione. Sono bravi a individuare capri espiatori e lesti a addossar loro le colpe».
Peggio: «Immersi nella società dell' istante, hanno sempre fretta. Il tempo mediatico si divora da solo, la complessità impone loro di essere sbrigativi per cui già vivono il presente come passato. Questo obbligo di tempestività comporta riflessi pronti, battute pronte, soluzioni pronte e cappellate prontissime. Ma è meno grave di quanto si pensi per il semplice fatto che non c' è proprio il tempo di pensare. Assai più che offrire soluzioni e risolvere problemi, la politica significa imprimere un ritmo, possibilmente un' accelerazione».
Ma, conclude Ceccarelli sbuffando esausto davanti alle «res gestae del trio» («Ce ne faremo una ragione», «non accettiamo lezioni», «non mi faccio fare la morale», «non ci perdo il sonno», «la pacchia è finita», «la mangiatoia è finita», «la musica è cambiata», «li spianiamo», «li asfaltiamo») questa corsa sfrenata sempre più vertiginosa e sovraeccitata non è detto possa durare a lungo.
«Anche l' usura, io credo, corre veloce, velocissima. I democristiani e i comunisti, di riffa o di raffa, sono durati quasi mezzo secolo. La parabola di Renzi si è bruciata in meno di tre anni. Nell' era dell' istantaneità il consenso è volatile e la ruota gira. È brutto dirlo, ma questa particolare velocità, per una volta, suona come motivo di speranza o di consolazione».
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