DAGOREPORT – NEL NOME DEL FIGLIUOLO: MELONI IMPONE IL GENERALE ALLA VICEDIREZIONE DELL’AISE.…
1. DI MAI E FICOCOLF
Vittorio Sgarbi per ''il Giornale''
Vite parallele. I due dioscuri, Fico e Di Maio. Il primo, l' anima pura del movimento, da qui in avanti chiamato Ficocolf, si è fatto trovare nella impurità dei pagamenti in nero, denari non presi ma dati a una povera colf senza contributi.
Nulla è più pericoloso dell' etica in politica. Ma chi l' ha scelta come condotta di vita non ha alternativa: deve dimettersi perché nulla è più politico del privato. Fico presidente della Camera è uno scandalo per gli italiani, per le persone oneste e per lo stesso partito che rappresenta. Il socialista Martelli raggiunto da un avviso di garanzia si dimise da ministro. Fico è forse più innocente di Martelli?
Il secondo dioscuro, Di Maio, così sconfinatamente ambizioso da essere pronto a vendere l' anima pur di diventare premier, si è condannato all' irrilevanza. Di qui in avanti lo chiameremo Di Mai. Così oggi possiamo nell' uno e nell' altro già vedere la inevitabile decadenza del M5s, dopo la sua vana ed effimera fiamma.
La sconfitta in Molise e la disfatta in Friuli vanificano ogni isterica ambizione di Di Mai e di Ficocolf di poter governare l' Italia. Gli italiani hanno capito il loro opportunismo, e li hanno sonoramente ridimensionati e bocciati. La loro prepotenza li ha, fino al prossimo inevitabile scioglimento del Parlamento, portati alla presidenza di una delle due Camere; e Di Mai potrà chiedere a Ficocolf un regolare contratto di lavoro domestico, per garantirsi il futuro. Dalle stelle alle stalle.
VITTORIO SGARBI E LUIGI DI MAIO
2. PER DIFENDERE FICO I GRILLINI DIVENTANO GARANTISTI
Francesco Specchia per ''Libero Quotidiano''
In dubbio pro reo. Nel dubbio sempre a favore dell' imputato, recita l' antico brocardo di Giustiniano. Pure se Giustiniano, il garantista, del Digesto (ma vuoi mettere con Davigo...), non votava 5 Stelle.
Epperò sulle basi sacrosante del diritto, noi, alla luce della recente inchiesta delle Iene sui due domestici -tali Imma e Roman- presunti lavoratori in nero a casa di Roberto Fico, non chiederemo la testa della terza carica dello Stato. Ma và.
antonino monteleone roberto fico
E nemmeno ci soffermeremo, con tigna grillesca, sull' art.22 comma 12 del Testo Unico sull' immigrazione inerente lo sfruttamento degli immigrati con permesso di soggiorno scaduto (anche perché l' ucraino Roman è latitante...); o sui «lavoretti gratis»; o sulle «duecento euro al mese di Roman sottratte dallo stipendio di settecento di Imma»; o sugli imbarazzi di Fico davanti alla stampa in merito a un possibile caso di acrobatica elusione fiscale nella casa di Napoli.
E non faremo il gioco politico di Matteo Renzi («La colf in nero di Fico? Grave, prima di rimettere l' art.18 pagate i contributi») contro i 5 Stelle, evocando magari l' ira di Assindatcolf, il sindacato delle domestiche che denuncia «1 milione di domestici in nero». Nè alzeremo il sopracciglio dinnanzi alla piena solidarietà a Fico dei vertici del Movimento, espressa nelle parole dei capigruppo M5S di Senato e Camera, Danilo Toninelli e Giulia Grillo: «Esprimiamo la nostra solidarietà al presidente Roberto Fico, in queste ore oggetto di strumentali attacchi politici privi di fondamento. Non abbiamo nessun dubbio sulla sua condotta e sulla sua correttezza».
Nessun dubbio, neanche noi. La colf esentasse è prassi piccina, da italiano medio: scivolarci sopra sarebbe da pirla. E Fico non è un pirla.
L' UOMO DEL TRAM
Fico è il biglietto sempre timbrato del tram, è la cancellazione del vitalizio: è il virus dell'«onestà» incistato nel corpaccione setticemico della politica italiana. Di certo la sua fedina, da questa storia, uscirà immacolata come la coscienza di un seminarista. Però. Però, diamine, pensate a parti invertite.
Cosa sarebbe successo se la colf e il lavorante in nero fossero spuntati per Renzi, per il Berlusca, per Salvini? Sarebbe montata l' indignazione della base; dalla piattaforma Rousseau sarebbero partiti grappoli di Pershing contro l' immoralità della casta; e sarebbero fioccate le interpellanza, le mozioni, le interrogazioni. Per esempio, il 19 giugno 2013, Libero denunciò in prima pagina il caso del ministro dello Sport Josefa Idem la quale aveva eluso il pagamento dell' Imu per la sua palestra di Ravenna; e subito il consigliere comunale M5S Pietro Vandini produsse una feroce mozione contro l' ex olimpionica «campionessa di trasparenza».
JOSEFA IDEM DIMISSION IMPOSSIBLE
E, in Senato, il bravo capogruppo pentastellato Nicola Morra presentò una dura interrogazione alla Idem per «spiegare in Aula le motivazioni di quello che, ci auguriamo, sia solo uno spiacevole equivoco». Ma equivoco non era. E allora il Movimento armò 53 dei suoi -con Lega e Sel- per procedere ad una mozione di sfiducia individuale per il ministro. L' avrebbero - giustamente - triturata, la Idem, se l' allora premier Enrico Letta con tempestività non l' avesse tosto spinta alle dimissioni. Fu una grande vittoria dell' onestà grillina.
MACCHINA DA GUERRA
E non fu, naturalmente, l' unico caso in cui l' oliatissima macchina da guerra del Movimento si mosse al solo zefiro d' un sospetto di cattiva condotta dei politici (di solito quasi sempre avversari). Ancora proposito di fisco: il 22 luglio 2013 il deputato M5S Carla Ruocco si rivolse al Ministro dell' Economia per chiedere quali azioni stesse compiendo «per individuare i nuovi canali di riciclaggio di denaro in materia di money transfer».
Il 21 marzo 2014 la «cittadina portavoce al Senato» Serenella Fucksia presentò un' interrogazione al Presidente del Consiglio e ai Ministri per gli affari regionali, per le autonomie e per lo sport, «ponendo l' attenzione sull' allarmante fenomeno delle associazioni sportive dilettantistiche che, operando in concreto attività lucrative, godono, non avendone diritto, delle agevolazioni tributarie previste per legge».
Il 21 dicembre 2017, altra interrogazione per il parlamentare Paolo Nicolò Romano: per chiedere «se il governo intende assumere iniziative volte a verificare la piena conformità alla normativa fiscale della cospicua operazione finanziaria concernente la cessione della proprietà del Milan».
E così via, in un turbine inarrestabile di moralità. Roba condivisibilissma, peraltro. Il M5S, il 22 aprile 2014, arrivò a chiedere di introdurre «la sfiducia per il presidente e i vice della Camera», contro la presidenta Boldrini in occasione della «ghigliottina» usata per il voto sul decreto Imu-Bankitalia. Ma nonostante l' hashtag #sfiduciamolaboldrini, la legge arginò la rabbia montata sul giusto assioma -grillino e non- che gli eletti debbano essere moralmente superiori agli elettori. Fico compreso, naturalmente...
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