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SI SALVINI CHI PUO’ – L’ULTIMA TENTAZIONE DEL LEADER LEGHISTA: CORRERE DA SOLO – A SALVINI NON PIACCIONO MOLTI COMPAGNI DI CORDATA IMBARCATI DA BERLUSCONI (AD INIZIARE DAI FEDELISSIMI DI BOSSI E DALL’IMPRESENTABILE COSTA) - DA QUI L'IDEA DI FAR SALTARE OGNI ACCORDO CON FI E FARE I CONTI DOPO IL VOTO
Giorgio Gandola per “la Verità”
«Faremo l' alleanza davanti a un notaio». L' ultima uscita di Matteo Salvini sugli accordi elettorali con Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni ha qualcosa di burocratico che lascia affiorare dubbi e preoccupazioni. Non c' è notaio che possa sancire una sintonia d' intenti, un' armonia strategica, una consonanza di obiettivi in un centrodestra percorso da una enorme contraddizione: è vincente nei sondaggi, ma incapace di cementare le sue anime.
I numeri in possesso dei leader alla vigilia della grande corsa elettorale sono belli: Forza Italia al 16% in salita, Lega Nord al 15%, abbastanza plafonata ma con il vento nelle vele grazie alle scelte suicide su migranti e ius soli da parte del governo, e Fratelli d' Italia che conferma lo zoccolo duro del 5%. Il risultato sarebbe una ipotetica maggioranza di governo, una coalizione in grado di ripetere gli exploit del Pdl, se a frenare l' entusiasmo non ci fosse la reciproca diffidenza che anima le mosse di Berlusconi e Salvini.
Gli ultimi giorni hanno portato il nervosismo alle stelle. Da una parte Salvini sta osservando con accidia l' operazione nostalgia del Cavaliere, che prepara l' esercito provando a imbarcare alcuni generali pentiti del centrismo cattolico democratico come Roberto Formigoni, Gabriele Albertini, Lorenzo Cesa, Enrico Costa, un impresentabile (per la Lega) come Flavio Tosi, e poi Enrico Zanetti, Gaetano Quagliariello, Raffaele Fitto.
Tutta gente contro cui la Lega si è battuta. Senza contare il favore con il quale Berlusconi vede il movimento Grande Nord di Roberto Bernardelli e Marco Reguzzoni, composto da ex leghisti fedelissimi di Umberto Bossi.
Dall' altra parte, Berlusconi non riesce a convincere Salvini a mitigare la sua posizione antieuropea, a preparare una campagna elettorale meno gridata e soprattutto a lasciargli la leadership morale del centrodestra, che gli spetterebbe di diritto. È un Berlusconi di nuovo in sella, in grado di programmare incontri pubblici e interventi televisivi, forte del suo ultimo capolavoro su un' opinione pubblica di nuovo ammaliata: essere riuscito a passare da libertino a nonno senza lasciare traccia.
Così i vertici leghisti stanno girando attorno a una pazza idea per sparigliare le carte: correre da soli. Blindare l' accordo con Giorgia Meloni, rassegnarsi a perdere qualche collegio nel maggioritario, con la convinzione di recuperare quei consensi con gli interessi nella quota proporzionale grazie a una campagna elettorale frontale, decisa, nella quale sottolineare ogni giorno le differenze sui grandi temi. «Ci contiamo è poi vediamo chi fa il leader», ripete da tempo Salvini. Intende esattamente questo, che consentirebbe alla Lega e a Fratelli d' Italia di portare in dote un 20% con il quale negoziare - dopo e da una posizione di forza - l' intesa di governo con Berlusconi. A meno di non strizzare l' occhiolino, a quel punto e su certi temi, anche al Movimento 5 stelle. Correre senza Berlusconi.
La Lega ci sta pensando, anche perché i sondaggi sulla leadership non offrono schiarite: il popolo leghista vuole al 75% Salvini presidente, i berlusconiani indicano il leader senza alternative. O si presenta un papa nero condiviso (Antonio Tajani, Giovanni Toti, Luca Zaia), oppure lo stallo è dietro l' angolo. Il rischio di un' operazione così spregiudicata è quello di gettare il Cavaliere fra le braccia di un Matteo Renzi pure in caduta libera (il suo consenso personale è al 19%, dopo le Europee del 2014 era al 70%), cosa che non gli dispiacerebbe affatto.
Ancora oggi Berlusconi si sente più garantito da un nuovo Nazareno e da un felpato ex democristiano come Paolo Gentiloni che dal notaio di Salvini.
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