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Francesco Verderami per il “Corriere della Sera” - Estratti
Sono passati due anni di legislatura e ne dovrebbero trascorrere altri tre prima di tornare alle urne. Eppure regna una strana frenesia nelle opposizioni, dove c’è addirittura chi inizia a sospettare che Giorgia Meloni possa puntare nel 2025 alle elezioni anticipate.
Non ci sono segnali in tal senso che giungano dalla premier o dal centrodestra.
Anzi, tutti gli indicatori descrivono una situazione di stabilità nonostante la maggioranza si mostri in affanno e sia quotidianamente attraversata da tensioni tra partiti alleati.
È vero, c’è stata una discussione a Palazzo Chigi sulla data delle prossime Politiche.
Però risale a molto tempo addietro e si è limitata ad affrontare il problema del «timing» di fine mandato. Un’ipotesi di scuola: per non costringere di nuovo i cittadini a votare in settembre, la premier potrebbe anticipare le sue dimissioni di qualche mese e garantire così le elezioni in primavera.
Ma del 2027.
Se così stanno le cose, cos’è che tiene desta l’attenzione delle opposizioni? Perché Meloni, in ogni suo gesto, appare intenzionata a durare e senza nemmeno passare per un rimpasto di governo. Come se le urne fossero una prospettiva di là da venire. «A meno di fattori imprevedibili...». La frase lasciata cadere da un autorevole dirigente del Pd fa capire che tra gli avversari del centrodestra c’e chi accredita uno scenario elettorale e immagina una mossa a sorpresa della premier per cogliere impreparate le opposizioni.
È in questo clima da « estote parati » che la sortita pubblica del direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha riaperto il dibattito sull’aggregazione di un’area cattolica e sulla nascita di un altro centro, l’ennesimo tra i tanti che già circondano il Pd come cespugli attorno alla Quercia. A parte il fatto che non regge l’ipotesi di un «federatore» del centrosinistra, perché confliggerebbe con il progetto di Elly Schlein, che da leader del maggior partito di opposizione si candida a sfidare Meloni.
Ma il punto è un altro. Il tema è che le esternazioni di Ruffini sono l’epifenomeno delle preoccupazioni per le mosse della premier. Tra quei «fattori imprevedibili» che la porterebbero a scegliere il voto anticipato si celerebbero — secondo alcuni dei suoi avversari — i timori per un 2025 orribile dell’economia internazionale, lo stallo delle riforme e persino la condanna di Matteo Salvini. Che agirebbe da detonatore sulla stabilità.
E a fronte di questa situazione, viene spiegato, «ogni energia verrebbe utile», con evidente riferimento al responsabile dell’Agenzia delle entrate: perché «sarebbe organizzata un’alleanza di scopo» per opporsi agli avversari.
Cioè verrebbe costruito un rassemblement che — visti i tempi limitati — non perderebbe tempo a dividersi su ogni riga di un programma comune, ma avrebbe come (unico) elemento di coesione «la sfida alle destre».
(…)
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