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DAGOREPORT – CHE FINE HA FATTO IL FANTOMATICO "PONTE" CHE MELONI SOGNAVA DI CREARE TRA USA E UE? PRI…
Ugo Magri per "La Stampa"
«Parlatevi», ha molto insistito Berlusconi finché ieri i due, finalmente, si sono incontrati. Tra il successore «in pectore» Alfano e il capo dei «lealisti» Fitto il faccia a faccia si è trascinato per quasi due ore. Non risulta che si siano accordati, tanto è vero che verso sera Silvio ha dovuto rivedere entrambi, però separatamente.
Dall'accampamento di Fitto giunge assicurazione che l'ex-ministro ha tenuto il punto chiedendo l'«azzeramento» di tutti gli incarichi di partito, in pratica pieni poteri al Cavaliere. Presso gli alfaniani invece si sostiene che Fitto sia semplicemente alla ricerca di garanzie e salvacondotti per sé nonché per i suoi sostenitori: versione «minimal» che, per certi aspetti, banalizza e immeschinisce il dramma di un partito ormai sull'orlo della scissione.
A quale livello di ferocia sia precipitato lo scontro nel Pdl, lo svela l'agguato di ieri a Palazzo Madama, teso dai «super-falchi» durante il dibattito sulle riforme. Stava per andare ai voti la riforma costituzionale messa in campo dal ministro Quagliariello, quando ha preso la parola il senatore Minzolini, che ha rapidamente scalato le gerarchie berlusconiane. L'ex-direttore del Tg1, ha denunciato il «compromesso al ribasso» del piano riformatore, in quanto «nemmeno sfiora il capitolo giustizia».
E tutti nell'emiciclo l'hanno subito inteso come un siluro indirizzato a Quagliariello, che oltre a essere lo stratega delle riforme si è parecchio esposto nella battaglia interna promuovendo il «documento dei 24» (quanti i senatori filo-governativi del Pdl) e adombrando a «Matrix» una scissione che il ministro non auspica però mette nel novero degli eventi possibili («Se ci sarà una minaccia per il governo, nascerà un altro gruppo, anche se mi auguro che non accada»).
Fatto sta che, al momento del voto sulla riforma costituzionale, quasi alla spicciolata un gruppo di senatori «lealisti» s'è allontanato dall'aula. Il movimento tra i banchi è stato colto, a quanto si dice, dalla vecchia volpe Casini. Avvertito in tempo, Quagliariello ha fatto chiamare di corsa 3-4 senatori centristi che si rifocillavano alla buvette: mossa decisiva, in quanto la riforma è passata per soli 4 voti. Quattordici gli assenti Pdl, 11 quanti si sono astenuti (al Senato l'astensione vale voto contrario). Formigoni: «Qualcuno ha tentato di far cadere il governo».
Già , perché, se il ddl fosse andato sotto, il ministro si sarebbe dovuto dimettere, Napolitano avrebbe dovuto riscrivere l'importante discorso sulle riforme pronunciato nel pomeriggio a Firenze, e per Letta sarebbe stato un colpo forse letale. Scampato il pericolo, Quagliariello ha indirizzato ai cospiratori Pdl un tweet-marameo: «Quanto è accaduto oggi rende la giornata ancora più importante e la vittoria ancora più forte».... Ma i falchi, paragonati da Cicchitto ai «nostalgici di Salò», si può stare certi, torneranno all'assalto.
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