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Silvio Buzzanca per "la Repubblica"
Centinaia di messaggi di cordoglio, ricordi affettuosi e devoti, ammirati o nostalgici. Evocazione di vicende ormai lontane. Giulio Andreotti è morto e anche nel giorno fatale il suo nome fa discutere. Amici ed avversari. Soprattutto su Twitter dove accanto ai messaggi degli ammiratori appaiono quelli ironici, sarcastici, velenosi, beffardi.
Tipo "è andato in Paradiso per insufficienza di prove". Ma c'è anche chi, come Silvio Berlusconi, usa la scomparsa del Divo Giulio per mettersi sullo stesso piano del leader dc. Come vittima della magistratura.
Il Cavaliere scrive che «contro la sua persona, la sinistra ha sperimentato una forma di lotta indegna di un Paese civile, basata sulla demonizzazione dell'avversario e sulla persecuzione giudiziaria». Secondo Berlusconi, «quello usato contro di lui è un metodo che conosciamo bene, perché la sinistra dell'odio e dell'invidia ha continuato a metterlo in campo anche contro l'avversario che non riusciva a battere nelle urne».
Una posizione che non sembra trovare d'accordo Pier Ferdinando Casini. Nonostante i processi, dice Casini, è stato «un uomo che ha creduto sempre nelle istituzioni. Ha sempre espresso fiducia nello Stato e nei tribunali». Berlusconi alla fine auspica «che agli anni della demonizzazione segua finalmente una pacificazione, di cui il governo appena insediato possa rappresentare il giusto prologo».
Ma molti giudizi vanno nella direzione opposta.. Come, per esempio, quelli dei grillini che al Senato non hanno rispettato il minuto di silenzio in onore del senatore a vita. E la deputata Giulia Sarti ha scritto su Twitter: «à morto Andreotti, il condannato prescritto per MA-FIA! ».
La parola mafia appare spesso. Fabrizio Cicchitto, per esempio, lo ricorda come il mediatore per eccellenza. «Per lui la mediazione era l'essenza della politica e andava esercitata con tutti, dal Pci ai grandi gruppi economico finanziari, agli alleati politici fino anche alla mafia tradizionale, mentre invece condusse una lotta senza quartiere contro quella corleonese », dice il deputato del Pdl.
Arrivano anche i ricordi molto "istituzionali" di Enrico Letta o di Romano Prodi. Arriva quello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. che scrive: sulla sua opera «potranno esprimersi valutazioni approfondite e compiute solo in sede di giudizio storico». Non si pronuncia Roberto Saviano che pone un'alternativa secca: «Andreotti: il più grande criminale di questo paese, perché l'ha sempre fatta franca, o il più grande perseguitato». Massimo D'Alema, ha ricordato il suo atteggiamento sempre dialogante: «Si è trattato certamente di un leader anche molto discusso».
Ma corrono giudizi politici molto più duri. Antonio Ingroia, per esempio, dice: «Con la sua morte se ne va un protagonista, più spesso negativo che positivo, della storia italiana degli ultimi 70 anni». Il magistrato ricorda la scomparsa avvenuta domenica di Agnese Borsellino, la contrappone a quella di Andreotti, che «giunse a stringere accordi con la mafia. Andreotti, con le sue tante ombre e poche luci, è morto, l'andreottismo sicuramente no».
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