DAGOREPORT - COSA POTREBBE SUCCEDERE DOPO LA MOSSA DI ANDREA ORCEL CHE SI È MESSO IN TASCA IL 4,1%…
Ugo Magri per "la Stampa"
Il ceffone dalla Sardegna è giunto inatteso. Davvero Berlusconi era certissimo di vincere, altrimenti figurarsi se ci avrebbe messo la faccia tenendo non uno ma due comizi al fianco dello sconfitto Cappellacci.
Si è fidato dei sondaggi (che stavolta non erano forniti da Euromedia) nonché del proprio personale carisma (che non è più quello di una volta). Per cui, appreso l'esito dello spoglio, il Cav c'è rimasto discretamente male.
E quasi d'istinto ne ha scaricato la colpa sul «traditore» di turno. In questo caso non è Alfano però, bensì Mauro Pili, ex parlamentare «azzurro» transitato al gruppo misto della Camera, la cui lista «Popolo sardo» ha risucchiato a Cappellacci voti decisivi. Con Angelino una qualche comunanza c'è, dal momento che allo zenit della sua parabola forzista Pili era considerato il «figlioccio» di Berlusconi, addirittura il suo naturale delfino.
E in quanto tale, ha conosciuto lo stesso inesorabile destino di tutti gli eredi designati, da Fini ad Alfano: dapprima è caduto in disgrazia e poi, emarginato, ha fatto le valigie.
Dunque non ha tutti i torti la Gelmini quando sostiene che, sulla batosta sarda, pesa una variabile impazzita di carattere locale. Né si può contestare il consigliere berlusconiano Toti: il dramma della disoccupazione ha molto penalizzato il governatore uscente (delle cui qualità del resto ad Arcore non tutti erano così convinti).
Ma allora, perché insistere su di lui? Questa sistematica propensione all'autogol, questa voluttuosa tendenza del mondo berlusconiano a litigare e a sbranarsi, questa conclamata incapacità di comporre le proprie divisioni interne, è un fenomeno che trascende la Sardegna e la sorte di Cappellacci.
Perfino tra «falchi» berlusconiani c'è chi si domanda che motivo avesse mai Berlusconi di prendere a male parole Alfano due giorni prima del voto. Di dargli dell'«utile idiota» e di incassare a urne aperte una replica di quelle pepate. Insultare il Nuovo centrodestra gli ha dato grande libidine, senza dubbio; però quell'attimo di piacere Silvio lo sconterà caro perché dal governo gli alfaniani potranno vendicarsi in molti modi. E loro saprebbero come fargli più male, perché nessuno meglio degli ex sodali possiede il «know-how» degli interessi berlusconiani, tanto giudiziari quanto aziendali.
Altro sbaglio che i fedelissimi rimproverano al Capo: non doveva mostrarsi così «innamorato» di Renzi, così voglioso di andarci d'accordo al punto da fargli tanti auguri di buona riuscita proprio nel comizio finale, venerdì a Oristano. Nel giro stretto di Arcore si sussurra che Silvio abbia i suoi buoni motivi; se va cauto su Renzi è perché spera di ricevere in cambio un ministro della Giustizia non troppo ostile, e magari la riconferma di Catricalà quale vice-ministro dello Sviluppo, che Mediaset non disdegnerebbe.
Però questi calcoli si sommano a una certa confusione strategica. Col risultato che tutti parlano e nessuno sa bene in che consista l'opposizione «responsabile» annunciata da Berlusconi. Unico a tacere è Fitto. Da settimane il Capo dei «lealisti» chiede di discutere la linea. Ma invano; l'ufficio di presidenza, dove se ne dovrebbe parlare, non è nemmeno stato ancora nominato...
BERLUSCONI E CAPPELLACCICAPPELLACCIberlusconi e cappellaccix l7 mauro pili gius chiaravellotiMariaStella Gelmini Catricala FRANCESCO PIGLIARU
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